Le posizioni ivi pubblicate e presentate in una sessione ad esse dedicata durante l’ultimo convegno nazionale svoltosi a Parma nel Marzo 2004, rappresentano per l’ANDID un importante punto di arrivo. Esse infatti esprimono il raggiungimento della crescita e della maturazione professionale del Dietista in ambiti portanti del profilo professionale (dalla nutrizione, alla clinica, alla ristorazione collettiva), avvicinando l’ANDID e i Dietisti Italiani al livello di professionalità ed allo spessore scientifico già raggiunto da tempo dalle Associazioni Anglosassoni. L’ANDID ha il merito di aver favorito e sostenuto questa crescita e di aver promosso l’elaborazione di queste posizioni, affidandone la stesura a gruppi di Dietisti esperti che hanno saputo confrontare e scambiare reciprocamente il loro patrimonio culturale e professionale, frutto del proprio “sapere” e “agire” professionale, maturato negli anni. I gruppi di lavoro nominati dall’ANDID hanno portato a termine con molto rigore il compito affidato, discutendo spesso con passione, ma sempre con “umiltà intellettuale”, alla ricerca di una sintesi e di una condivisione delle proprie esperienze e competenze professionali, rapportandole continuamente alla migliore evidenza disponibile. Gli ambiti clinici e professionali scelti (le malattie renali, il diabete e la malnutrizione ospedaliera) sono stati individuati proprio alla luce del riconoscimento della indispensabilità e dell’insostituibilità del ruolo del Dietista nella prevenzione e nel trattamento di quelle specifiche problematiche, ruolo che emerge dalla più recente evidenza clinica e dalle raccomandazioni nazionali ed internazionali ad essa ispirate. L’intento dell’ANDID è quello di fornire un autorevole ed utile riferimento per tutti i Colleghi, ma anche per le Istituzioni, le Società Scientifiche e Professionali e per tutti i soggetti in esse direttamente e/o indirettamente coinvolti. L’auspicio dell’ANDID è che questa esperienza inizialmente limitata ad un gruppo ristretto di Dietisti, possa contribuire alla crescita, al rafforzamento ed alla maturazione professionale di tutti i Colleghi che si trovano e/o si troveranno ad operare negli ambiti cui le posizioni si riferiscono. Giovanna Cecchetto Presidente ANDID a nome del Consiglio Direttivo ANDID Medicina basata sull’ evidenza: il metodo al servizio del paziente di Giorgio Bedogni - Unità Fegato e Nutrizione, Centro Studi Fegato, AREA Science Park, Basovizza, Trieste; Socio onorario ANDID
Tutte le posizioni dell’ ANDID fanno riferimento ai principi della Medicina basata sull’ Evidenza (EBM) come a principi guida per la pratica professionale del dietista 1. Ciò è assolutamente ragionevole, dal momento che l’ EBM si sforza di offrire un metodo per realizzare un principio etico fondamentale della nostra professione: la centralità del paziente 2. (In quest’ articolo userò il termine “professione” come sinonimo di tutte le professioni sanitarie, in quanto accomunate dall’ obiettivo della salute del paziente.) Quando Archibald Cochrane – l’uomo che ha dato il nome alla Cochrane Collaboration 3 – sosteneva la necessità di considerare in maniera sistematica la ricerca disponibile su un trattamento, lo faceva con la speranza che le “disuguaglienze dovute alle variazioni degli standard di assistenza… [possano diminuire] nella misura in cui la scienza si sostituirà alle opinioni e alle intuizioni personali” 4. Questa dichiarazione implica la considerazione della scienza come un metodo per raggiungere un fine etico. Naturalmente, è (o dovrebbe essere) nozione più generale che la scienza offra soltanto un metodo – “una strada” 5 – e non un fine. “Giustificare” la scienza attraverso la scienza è un’ impresa logicamente impossibile 6. A chi dicesse “Io non accetto nulla che non sia scientifico”, è facile rispondere “Comincia col dimostrarmi che questa tua affermazione è scientifica”, chiudendo la questione. Chi temesse che la “scienza” possa spazzare via l’ “arte” dalla nostra professione, può dormire sonni tranquilli. Non solo è universalmente accettato che “la combinazione di conoscenza medica, intuito, esperienza e giudizio rappresenta l’ arte della Medicina” 7, ma l’ EBM fornisce anche una strada tentativa per realizzarla, configurandosi come un metodo al servizio del paziente. Per chi avesse ancora dei dubbi, basta considerare la definizione di EBM fornita nelle primissime pagine di ogni libro sull’ argomento: “l’ integrazione della miglior ricerca disponibile con l’ esperienza clinica e i valori del paziente” 1. La realtà è che, a dieci anni dall’ “esordio” dell’ EBM 8, a molti operatori sanitari sfugge ancora il suo “principio organizzatore”, che cioè l’evidenza fornita dalla ricerca deve essere applicata, per il tramite della propria esperienza professionale, alla situazione unica del paziente 1, 9. Come ben sa chi ha a che fare con la malattia cronica, l’ unicità del paziente è innanzitutto psico-socio-pedagogica e solo secondariamente patobiologica 9, 10. L’ unicità del paziente è, ovviamente, un “corollario” della più generale unicità della persona. (Incidentalmente, il termine “paziente” è spesso criticato perché disumanizzante ma, se interpretato come “persona che soffre”, esso è ancora più carico di implicazioni antropologiche del termine “persona”; in ogni caso, non sono le parole ma i comportamenti a fare la differenza.) La centralità del paziente e la necessita di un’ “arte” è ancora più evidente nel caso – certamente il più frequente – in cui l’evidenza fornita dalla ricerca relativamente a una malattia è assente o insoddisfacente da un punto di vista metodologico 11. Con ciò non voglio certo sostenere che l’ entusiasmo eccessivo di molti sostenitori dell’ EBM 11, 12 – negante per definizione l’ essenza “socratica” del metodo scientifico 6 – e le frequenti strumentalizzazioni dell’ EBM 1, 13, 14 non abbiano contribuito all’ ostilità degli operatori sanitari nei confronti di questa disciplina. Chi scrive era, fino a non molti anni fa, “dall’ altra parte della barricata”, avendo commesso l’ errore di prestare fede a quanto veniva detto in maniera assolutamente “partigiana” sull’ EBM. Oggi, invece, a conoscenza dei fatti, sceglie l’ EBM per tre ragioni: 1) perché è incentrata sul paziente, che è al centro della sua professione di medico; 2) perché è un metodo che consente di accrescere la sua conoscenza al servizio del paziente; 3) perché necessita di un operatore
per il suo esercizio. (Non ho nessun problema a confessare l’ egoismo che sottende l’ ultima affermazione: ciò che spero convincerà i più recalcitranti che l’ EBM non rappresenta un nemico ma un alleato per la nostra professione). Come abbiamo sottolineato altrove 15, la grande sfida della “pratica professionale basata sull’ evidenza” non dipende dal suo aspetto tecnico – che pure crea difficoltà e richiede una revisione del curriculum tradizionale di studi – ma dalla disponibilità e dalla capacità degli operatori sanitari di mettere quest’ evidenza al servizio del paziente. Ovviamente, chi “pratica” l’ EBM deve impegnarsi per dimostrare che un “approccio basato sull’ Evidenza” è in grado di migliorare lo stato di salute del paziente rispetto ad altri approcci 11. Anche se questa non è un’ impresa facile da realizzare, perché la didattica dell’ EBM è ancora poco standardizzata e vi sono molti problemi irrisolti 1, essa è indispensabile perché la scienza procede per “congetture e confutazioni” 6, 16, 17 e non per “paradigmi”. Ciò non equivale a negare l’ esistenza di paradigmi, che sono anzi all’ ordine del giorno nella ricerca medica (il primo a venirmi in mente è la “sindrome metabolica” 18), ma a sostenere il fatto che le teorie procedono solo se superano controlli (come la teoria della “sindrome metabolica”, che non sta superando il controllo dell’ evidenza 18). Mi piace rispondere alla domanda “Perché dovremmo praticare l’ EBM”, citando Karl Popper (a proposito del metodo della scienza) 19: “[Perché] noi non sappiamo niente – primo punto. Di conseguenza, dobbiamo essere modesti – secondo punto. Non diciamo di sapere quando non sappiamo – terzo punto” . Sta a noi operatori sanitari l’ onere (e l’ onore) di dimostrare che l’ EBM è in grado di migliorare la salute dei nostri pazienti. I dietisti hanno fatto già moltissimo in questo senso, sviluppando il programma Medical Nutrition Therapy (MNT) 15, 20. Buon lavoro ai colleghi dell’ ANDID che non mancheranno certamente di raccogliere quest’ ennesima sfida. 1. Straus S, Richardson W, Glasziou P, Haynes R. Evidence based Medicine. How to teach and practice EBM. Edinburgh:
Elsevier Churchill Livingstone, 2005. 2. Medical professionalism in the new millennium: a physician charter. Ann Int Med 2003; 136:243-246. 3. http://www.cardiff.ac.uk/schoolsanddivisions/divisions/insrv/libraryservices/research/cochrane/index.htm/index.html 4. Cochrane A. Effectiveness and efficiency. Random reflections on health services (Reprint): Royal Society of Medicine Press Ltd, 1999. 5. http://www.etymonline.com/index.php?search=method&searchmode=none. 6. Popper K. Conjectures and Refutations (Reprint). London: Routledge, 2002. 7. Editors. The practice of Medicine. Harrison's Principles of Internal Medicine. New York: McGraw-Hill, 2005:1-6. 8. Straus SE, Jones G. What has evidence based medicine done for us? BMJ 2004; 329:987-8. 9. Haynes RB, Devereaux PJ, Guyatt GH. Clinical expertise in the era of evidence-based medicine and patient choice. Vox Sang 2002; 83 Suppl 1:383-6. 10. Lockwood S. "Evidence of me" in evidence based medicine? BMJ 2004; 329:1033-5. 11. Frost R. The essence of EBM. BMJ 2004; 329:991-992. 12. Liberati A (ed.). Etica, conoscenza e sanità. Evidence-based medicine fra ragione e passione. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2005.
13. Straus S, McAlister F. Evidence-based medicine: a commentary on common criticisms. Can Med Ass J 2000; 163:837- 841. 14. Sackett DL, Rosenberg WM, Gray JA, Haynes RB, Richardson WS. Evidence based medicine: what it is and what it isn't. BMJ 1996; 312:71-2. 15. Bedogni G, Fantuzzi A, Borhghi A. Rierca, valori del paziente ed esperienza: verso una pratica professionale basata sull' "evidenza". ANDID Notizie 2005: numero speciale XX anniversario: 37-38. 16. http://www.farmindustria.it/farmindustria/documenti/004/etica.pdf. 17. Koch E, Otarola A, Kirschbaum A. A landmark for popperian epidemiology: refutation of the randomised Aldactone evaluation study. J Epidemiol Community Health 2005; 59:1000-6. 18. Kahn R, Buse J, Ferrannini E, Stern M. The metabolic syndrome: time for a critical appraisal: joint statement from the American Diabetes Association and the European Association for the Study of Diabetes. Diabetes Care 2005; 28:2289-304. 19. Popper K. Tutta la vita è risolvere problemi. Milano: Rusconi, 2000. 20. Gray GE, Gray LK. Evidence-based medicine: applications in dietetic practice. J Am Diet Assoc 2002; 102:1263-72. Autonomia e Responsabilità del Dietista in ambito clinico Presentazione a cura del Dr. Luca Benci - giurista, esperto di diritto sanitario e delle professioni sanitarie
Le recenti riforme dell’esercizio professionale - leggi 26 febbraio 1999, n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” e 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” - che hanno coinvolto le professioni sanitarie hanno ridisegnato gli ambiti di autonomia e di responsabilità abbattendo i vecchi confini e i vecchi steccati e flessibilizzando l’esercizio professionale nel nome della competenza. Le parole d’ordine della nuova normativa sono infatti “autonomia professionale”, “ambito proprio di attività e responsabilità”, “codici deontologici”, “ordinamenti didattici”, “formazione di base e post base”. Le parole d’ordine si coniugano inoltre con le riforme universitarie che hanno portato tutte le professioni sanitarie al rango di professioni laureate. Il cambiamento è – e non appaia enfatico – da considerarsi epocale. Tramonta cioè la stagione storica della sanità medico-centrica dove nella stessa normativa “sanitario” era da considerarsi “medico”, dove sanità e medicina coincidevano, dove l’unico vero professionista sanitario era il professionista medico tuttalpiù coadiuvato da “ausiliari” delle professioni sanitarie così come recitava il testo unico delle leggi sanitarie del 1934. Nel nuovo ordinamento le professioni sanitarie si formano tutte all’interno dei corsi di laurea della facoltà di medicina, il cui nome resta invariato, anche se ormai appare del tutto evidente che nella sostanza è la facoltà di tutte le professioni sanitarie. Non vi sono più professioni sanitarie laureate e altre diplomate, non vi sono più professioni sanitarie principali ed altre ausiliarie, ci sono solo le professioni sanitarie che devono esercitano la loro professione in autonomia professionale. Dal punto di vista della normativa di inquadramento generale la situazione non può essere più chiara anche se delle discrepanze, anche gravi, in termini di non riconoscimento di rappresentanze istituzionali omogenee permangono. Non vi sono dubbi che il permanere della situazione di distinzione tra professioni sanitarie dotate di Albo professionale e professioni non dotate di Albo ponga seri problemi di legittimità costituzionale in merito al principio di uguaglianza. Questa disparità però non è simmetrica al sistema medico-centrico bensì trasversale in quanto, come è noto, anche alcune professioni sanitarie ex diplomate (infermieri, ostetriche e tecnici di radiologia) sono dotate da molti decenni di Collegio e Albo professionale. I problemi maggiori sono derivati, in questi anni, dall’implementazione o dalla tentata implementazione delle nuove norme di esercizio professionale. Il profilo professionale del dietista subordina alla diagnosi e alla prescrizione del medico una serie di attività successivamente riconducibili al dietista stesso. Sull’attività di diagnosi clinica non vi sono dubbi sulla pienezza della competenza medica in merito. Sull’attività prescrittiva è in atto una seria riflessione e un ripensamento delle tradizionali definizioni per adattarle al mutato quadro giuridico di riferimento. In particolare deve essere evitato il perpetuarsi di vecchie impostazioni che rischiano di limitare l’autonomia professionale del dietista e di creare confusione nei confronti dell’utenza-clientela afferente ai vari servizi e ai vari ambulatori/studi. L’eccesso di dettaglio all’interno della prescrizione porta proprio questo effetto. La nuova operatività e i nuovi rapporti tra le professioni sono stati ridisegnati dallo Stato ma abbisognano a questo punto di un serio approfondimento da parte del mondo professionale. E’ in questa ottica che deve essere letto il documento dell’ANDID denominato “Autonomia e responsabilità del dietista in ambito clinico”. E’ un documento professionale – raro nel mondo sanitario italiano ma frequente nel panorama internazionale – che riempie di significato le indicazioni generali fornite
dall’autonomia. Non è un caso che il documento affronti proprio in modo prioritario il tema dell’elaborazione, della formulazione e dell’attuazione delle diete prescritte in quanto essendo questi concetti sostanzialmente professionali e non giuridici abbisognano proprio del fondamentale contributo del mondo professionale. La posizione dell’ANDID sull’autonomia è un documento equilibrato, rispettoso dei confini giuridici e delle posizioni delle varie professioni e serve da guida per la declinazione verso gli aspetti specifici dell’attività professionale. E’ un contributo al nuovo rapporto tra le professioni che lo Stato richiede al sistema con la sua nuova normativa: un rapporto maturo e non più impari tra i “dottori in medicina” e i “dottori in dietistica”.
Autonomia e Responsabilità del Dietista in ambito clinico S. Agostini, G. Cecchetto, L. Corgiolu, A.L.Fantuzzi, C.Gagliardini, C. Latina, F. Pasticci, MT. Semenzin, S.Vezzosi M.P.Chiuchiu, M.Fadda, P.Gnagnarella, M.P. Lanza, M.L. Masini, E. Susin (Gruppo di Lavoro ANDID Autonomia e Responsabilità Professionali)
1. Background
L’area del profilo professionale del Dietista riferita all’ambito clinico: “Elabora, formula ed attua le diete prescritte dal Medico….” (art.2, comma c- DM. 744/’94) non chiarisce il livello di dettaglio della prescrizione (1). Il problema che si pone per il Dietista, come per gli altri Professionisti Sanitari, è stabilire quali siano i confini tra l’atto della prescrizione medica (2) e le attività che appartengono alla specificità professionale di ciascun Operatore. Non vi sono dubbi che l’effettuazione della diagnosi nosologica e l’assunzione di qualunque decisione clinica appartengano al Medico, ma, gli atti successivi rientrano nella competenza del Dietista, laddove il profilo gli attribuisce l’attività di elaborazione, formulazione ed attuazione della dieta (3,4). Le norme attuali in materia di autonomia e responsabilità professionali portano inevitabilmente alla necessità di pensare e definire più nel dettaglio le competenze dei diversi Professionisti di area sanitaria e di area medica, contemplate nei rispettivi profili professionali, in un’ottica interprofessionale orientata a superare posizioni intransigenti o corporative. Ottica interprofessionale peraltro dimostrata anche in ambito scientifico dall’evidenza e riconosciuta dalla legislazione sanitaria, quale elemento fondamentale per il conseguimento dell’efficacia e appropriatezza delle prestazioni. La presente posizione intende fornire un utile contributo ai Dietisti ed ai Professionisti Sanitari con cui i Dietisti si trovano a collaborare nel governo clinico del paziente in ambito nutrizionale, al fine di: • delineare e chiarire le attività di specifica competenza del Dietista nell’ “elaborazione, formulazione
• delinearne gli ambiti di autonomia e di responsabilità; • elevare lo standard professionale; • favorire l’instaurarsi di relazioni di collaborazione e rispetto dei rispettivi ruoli, nell’interesse dei
Pazienti/Utenti e della qualità assistenziale.
Alla luce delle recenti normative emanate in tema di autonomia professionale (L.42/’99-L. 251/00) (5,6) e l’avvento della medicina basata sull’evidenza, al dietista si richiede quindi l’acquisizione di una nuova coscienza professionale in relazione a: • responsabilità che le norme riconoscono loro sul piano professionale, etico e giuridico;
• professionalità che questa responsabilità comporta; • necessità di adesione alle regole deontologiche recepite nel codice di etica dell’Andid (7)
2. Posizione
E’ posizione dell’ANDID che il Dietista impegnato in ambito clinico, nell’ elaborazione, formulazione ed attuazione della dieta: 1) operi sempre in presenza della prescrizione medica attestante anche la diagnosi, sia in regime di dipendenza che in regime libero-professionale, 2) sappia che l’intervento clinico (stesura del piano dietetico personalizzato sulla base della prescrizione medica) si differenzia dall’intervento di educazione alimentare, 3) rispetti il Codice deontologico, 4) ponga al centro del proprio intervento il paziente e le sue esigenze, 5) collabori attivamente con i membri del team per attuare il suo ruolo specifico, 6) possegga una formazione specifica ed un aggiornamento continuo in ambito clinico, 7) valuti costantemente l’efficacia della sua prestazione. 2.1 Centralità del paziente Applicando i principi della Medicina basata sull’ Evidenza, il dietista impiega il proprio giudizio professionale per adattare la miglior evidenza fornita dalla ricerca alla situazione clinica e personale del singolo paziente (8,9). Nel suo lavoro, il dietista applica le indicazioni fornite dalle linee guida nazionali e internazionali. 2.2 Ruolo del dietista Il Dietista “elabora, formula ed attua la dieta” ovvero il piano dietetico personalizzato, e a tale scopo deve conoscere e saper valutare gli elementi del quadro clinico e gli esami bioumorali che condizionano la stesura del piano stesso, richiedendoli al Medico ad integrazione della diagnosi, ove necessario. Ogni informazione ritenuta necessaria per l’adeguamento del piano dietetico alle evoluzioni del quadro clinico deve essere valutata in collaborazione con il Medico curante (10,11). Il Dietista valuta lo stato nutrizionale del paziente, le abitudini alimentari e gli introiti energetici e nutrizionali, utilizzando la storia dietetica ed il diario alimentare (12). La valutazione dello stato nutrizionale comprende la valutazione della composizione corporea, del bilancio energetico e della funzionalità corporea (13). La storia dietetica viene condotta con un intento sia quanti- sia quali-tativo, sul versante bio-psico-sociale. È opinione dell’ ANDID che la capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici e psico-sociali della storia dietetica costituisca la capacità centrale del dietista clinico, in particolare se impegnato nel trattamento delle malattie ad andamento cronico (14). Il Dietista promuove la compliance/concordance al piano dietetico personalizzato attraverso interventi di informazione, educazione e counseling, centrati sul paziente e finalizzati al raggiungimento degli obiettivi nutrizionali concordati, utilizzando strumenti e tecniche specifiche, quali il diario alimentare, le tecniche della comunicazione, della motivazione e del problem solving (15). Le prestazioni relative alla valutazione dello stato nutrizionale ed alla rilevazione delle abitudini alimentari e degli introiti nutrizionali rientrano nelle competenze specifiche del Dietista, a supporto e complemento del piano nutrizionale e si svolgono anche in assenza della prescrizione medica. Il Dietista tiene informato il medico e/o il team sullo stato nutrizionale del paziente e sul grado di adesione al piano dietetico. Il Dietista implementa la comunicazione con il Medico e gli altri Professionisti sanitari, nell’ottica interdisciplinare, sapendosi relazionare sulla base di standard di riferimento per la buona pratica clinica attivandosi per evitare e/o superare possibili conflittualità e competitività, nell’interesse primario del paziente, nel rispetto delle reciproche competenze e del proprio codice deontologico, prevenendo ogni rischio di conflittualità, ove possibile, anche attraverso l’adozione di protocolli terapeutici concordati per patologia.
Nel caso di eventuali divergenze circa la prescrizione e/o l’indicazione alla dieta, il Dietista esprime e documenta la sostanza e le motivazioni del proprio disaccordo e persegue la soluzione migliore per il paziente. All’interno delle strutture richiede l’intervento della maggiore professionalità sovraordinata a dirimere il contrasto nell’esclusivo interesse del paziente. (Nei casi di dissenso grave e di conflitti insanabili il Dietista si riserva di non attuare l’indicazione prescritta avvalendosi dell’obiezione di coscienza prevista dal Codice di etica professionale) (7). Il Dietista esplica l’intervento di educazione alimentare in piena autonomia, senza il vincolo della prescrizione, né della diagnosi del medico secondo i criteri metodologici educativi:
individuazione dei bisogni, definizione degli obiettivi, stesura del progetto e verifica del risultato, flessibilità, partecipazione dell’ Utente/Utenti al processo educativo (16,17). L’intervento di educazione alimentare può essere destinato a singoli o a gruppi di individui, ed è rivolto esclusivamente a soggetti sani. Si differenzia dalla dieta ovvero dal piano dietetico personalizzato, in quanto finalizzato esclusivamente all’adozione delle raccomandazioni nutrizionali per la popolazione italiana ( Linee Guida per una sana alimentazione italiana) (18). E’ mirato ai comportamenti in esse consigliati, in riferimento al numero e all’ entità delle porzioni ivi indicate, per gruppi di alimenti. L’educazione alimentare – similmente a ogni attività educativa svolta dalle professioni sanitarie non ha infatti natura medico-prescrittiva 2.3 Formazione e aggiornamento La formazione universitaria del dietista dovrebbe garantire un’ adeguata preparazione teorica e pratica in ambito clinico. È opportuno che l’ attività di tirocinio pratico sia svolta presso servizi di dietetica e nutrizione clinica ospedalieri con la supervisione di dietisti esperti. L’ ANDID auspica che almeno il 50% dei crediti ECM sia ottenuto da eventi relativi all’ambito clinico e che parte del restante 50%, sia ottenuto da eventi relativi agli aspetti etico-professionali connessi con lo sviluppo della prestazione dietistica. Sottolinea inoltre l’importanza che gli insegnamenti tecnico-pratici e relativi alla deontologia professionale siano affidati a Dietisti. 2.4 Valutazione dell’efficacia della prestazione Il Dietista valuta la qualità della propria attività professionale attraverso la revisione continua dei risultati rispetto a standard professionali e clinici definiti e condivisi. A questo scopo condivide con il medico e gli altri Professionisti Sanitari tutti i dati e le informazioni relative alla nutrizione del paziente. La documentazione delle attività e dei risultati è parte integrante della pratica professionale del Dietista, volta al miglioramento continuo della qualità. 3. Bibliografia 1. DM. 744, 14/9/’94. “Regolamento concernente la individuazione della figura professionale del
2. British Dietetic Association (BDA). Prescribing for Registered Dietitians: a Position Statement by
the Prescribing Working Group on behalf of the Professional Development Committe, June 2003
3. Benci L. Le professioni sanitarie (non mediche) aspetti giuridici, deontologici e medico-legali.
4. Rodriguez D. Il codice deontologico dell’ostetrica/o riflessioni e confronti . McGraw – Hill ; 2003
5. Legge 26 febbraio 1999, n.42 : Disposizioni in materia di professioni sanitarie. G.U. n. 50 del 02-
6. Legge 10 Agosto 2001, n.251: Disciplina delle professioni sanitarie Infermieristiche, tecniche, della
riabilitazione, della prevenzione, nonché della professione ostetrica.
7. Associazione Nazionale Dietisti (ANDID), Codice di Etica, 2003 approvato dall’Assemblea dei soci,
8. Sackett DL, Strauss SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB. Evidence-based Medicine.
9. Gray EG, Gray LK. Evidence-based medicine: applications in dietetic practice. J Am Diet Assoc
10. American Dietetic Association. Standards of Professional Practice. J. Am. Diet. Assoc., 1996 11. Worthington PH. Practical aspects of nutritional Support – An advancedpractice guide 12. American Dietetic Association- Dietitians of Canada.Manual of Clinical Dietetics, 6th edition, 2000. 13. Bedogni G. Borghi A. Battistini N. Principi di valutazione dello stato Nutrizionale. Milano, Edra 1999 14. Ruolo del dietista nel trattamento del paziente con malattia renale cronica - posizione ANDID 15. 16° Congresso nazionale ANDID. Parma 2004 Ruolo del dietista nella gestione nutrizionale del paziente diabetico posizione ANDID. 16. J.J.Gilbert . Guida pedagogica. 3° edizione italiana, 1986. 17. Pocetta G.: Educazione alimentare nella scuola. In: Il dietista: figura emergente negli interventi di educazione sanitaria. Atti Corso ANDID Umbria, 16 Aprile 1999: 34-42 18. Linee guida per una sana alimentazione italiana, rev. 2003 INRAN, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Ruolo del Dietista nella gestione nutrizionale del paziente diabetico
Presentazione a cura del Dr. Adolfo Arcangeli - Vice Presidente A.M.D. (Associazione Medici Diabetologi) E’ con vero piacere che rispondo all’invito dell’A.N.D.I.D. di scrivere la prefazione alla posizione sulla gestione nutrizionale del paziente diabetico. Il ruolo del dietista, all’interno di un team diabetologico preparato e motivato, appare insostituibile. L’Associazione Medici Diabetologi (A.M.D.), a nome della quale scrivo, ha fatto proprie le raccomandazioni ADA 2005, pubblicandole come Standard di Cura. Nel capitolo dedicato alla Terapia Medica Nutrizionale si ribadisce che “.tutte le persone con diabete dovrebbero ricevere una MNT individualizzata, preparata da un dietista esperto nella MNT del diabete.” Ma la sola competenza professionale, seppur indispensabile, appare limitante, se non si tiene in considerazione un ulteriore ruolo educativo che il dietista deve possedere quando si rapporta con persone affette da diabete. In questo suo ruolo educativo, il dietista deve possedere anche capacità relazionali, che permettano di trasmettere correttamente le informazioni e motivare il paziente, prendendo in considerazione le preferenze personali, culturali e lo stile di vita, nel rispetto dei desideri del paziente e della sua disponibilità al cambiamento. Per ottenere gli obiettivi correlati alla nutrizione, è altresì indispensabile uno sforzo coordinato di tutto il team diabetologico, di cui il dietista sia parte attiva, rapportandosi con le altre figure professionali, in un ruolo formativo, di supporto e di motivazione. Da tutto ciò deriva una complessità di competenze richieste al dietista, che l’A.N.D.I.D. ha da sempre contribuito a promuovere. In questa logica la pubblicazione delle posizioni ufficiali di una Associazione Professionale appaiono un momento indispensabile perché la “comunità sanitaria” prenda visione di un documento condiviso che rappresenta un formidabile strumento di formazione e promozione di salute. Questo strumento è sicuramente fondamentale per il dietista, ma anche per le altre figure professionali (medico, infermiere, psicologo, podologo,.) che con il dietista si rapportano in un team diabetologico che è in grado di individuare, per ogni paziente, un percorso assistenziale efficace ed efficiente. Sono certo che da queste posizioni deriveranno ulteriori momenti di riflessione e collaborazione fra A.N.D.I.D. ed A.M.D., allo scopo di fornire ai pazienti con diabete una assistenza sempre migliore. Ruolo del Dietista nella gestione nutrizionale del paziente diabetico Marina Armellini, Antonella Busetti, Giovanna Cecchetto, Claudia Contegiacomo, Lucina Corgiolu, Concetta Latina (Gruppo di lavoro ANDID Diabete) 1. Background Studi randomizzati controllati, osservazionali e metabolici hanno dimostrato che l’intervento nutrizionale migliora l’assetto metabolico delle persone con diabete di tipo 1 e 2 (1,4). In particolare, l’ intervento nutrizionale incide in maniera rilevante sul compenso glicemico e sul calo ponderale. L’evidenza disponibile dimostra chiaramente l’efficacia dell’intervento nutrizionale effettuato da un dietista esperto in diabetologia (1,4). L’ American Diabetes Association (ADA) raccomanda il coinvolgimento di un dietista esperto nella gestione del diabete e sottolinea l’importanza che tutti i membri del team siano a conoscenza del trattamento nutrizionale e supportino il paziente nella modificazione dello stile di vita (1, 2). Le raccomandazioni nutrizionali dell’ ADA sono evolute profondamente nel corso degli ultimi dieci anni, passando da un approccio prescrittivi basato su fabbisogni nutrizionali ideali a uno più flessibile basato sulla modificazione dello stile di vita e fondato sull’ impiego di strategie di supporto al cambiamento (3). Infine, in considerazione del fatto che ancora oggi vengono fornite ai soggetti diabetici molte raccomandazioni nutrizionali non supportate dall’ evidenza, le raccomandazioni dell’ADA sono state classificate in relazione al livello di evidenza (1,2) 2. Posizione É posizione dell’ANDID che il dietista impegnato nel trattamento nutrizionale del diabete: 1) ponga al centro del proprio intervento il paziente e le sue esigenze, 2) collabori attivamente con gli altri membri del team diabetologico (diabetologo, infermiere, podologo, psicologo, ecc.), per attuare il suo ruolo specifico, 3) possegga una formazione specifica ed un aggiornamento continuo in ambito diabetologico, 4) valuti costantemente l’efficacia della sua prestazione. 2.1 Centralità del paziente Applicando i principi della Medicina basata sull’Evidenza (2, 5, 6) il dietista impiega il proprio giudizio professionale per adattare la migliore evidenza fornita dalla ricerca alla situazione clinica e personale del singolo paziente. Nella pratica professionale il dietista applica le indicazioni fornite dalle linee guida nazionali ed internazionali (2). 2.2 Ruolo del dietista Il dietista partecipa all’elaborazione del programma terapeutico valutando lo stato nutrizionale del paziente ed elaborando un piano dietetico personalizzato. Inoltre, interagisce con tutti i membri del team per favorire la modificazione dello stile di vita del paziente. Il dietista deve sapere: 1) valutare gli elementi del quadro clinico e gli esami bioumorali relativi allo stato glicometabolico e nutrizionale; 2) identificare e valutare le conoscenze e le abilità del paziente relative alla malattia e alla sua autogestione; 3) identificare obiettivi nutrizionali individuali ed impostare il piano nutrizionale secondo criteri educativi, in relazione al quadro clinico e alla storia dietetica; 4) concordare con il paziente il piano nutrizionale; 5) monitorare l’adesione del paziente al piano nutrizionale e valutarne i risultati; 6) conoscere le caratteristiche e i meccanismi di azione dei diversi tipi di insulina e dei farmaci ipoglicemizzanti.
La storia dietetica viene condotta nel paziente diabetico con un intento qualiquantitativo, bio-psico-sociale e pedagogico. Sul versante qualitativo, vengono investigati: 1) consumo dei pasti (quando, dove, con chi), 2) attività fisica (quale, quando, quanto), 3) storia ponderale, 4) esperienze dietetiche pregresse, 5) trattamento farmacologico, 6) presenza di complicanze, 7) storia glicemica (diario glicemico), 8) episodi di ipoglicemia (frequenza e modalità di gestione; diario glicemico), 9) appetito, 10) alvo e 11) digestione. Sul versante quantitativo, vengono valutati: 1) energia, 2) carboidrati (quantità, qualità e distribuzione nei pasti), 3) proteine (totali e rapporto animali:vegetali), 4) lipidi (saturi, polinsaturi e monoinsaturi), 5) colesterolo, 6) fibra, 7) alcool. Sul versante bio-psicologico, vengono indagati la percezione della fame e della sazietà, il rapporto con il cibo, il grado di accettazione della malattia e lo stato emotivo complessivo. Sul versante socio-culturale e cognitivo vengono rilevati il supporto familiare e sociale, le abitudini alimentari familiari, gli eventi sociali e familiari (frequenza, comportamenti adottati), la presenza di idee disfunzionali e la cultura personale relativa ad alimentazione, peso, dieta e diabete. L’elaborazione del piano dietetico deve applicare la miglior evidenza fornita dalla ricerca alle caratteristiche del singolo paziente. Il piano dietetico deve essere individualizzato, facilmente applicabile alla quotidianità, flessibile e graduale, prevedendo obiettivi a breve, medio e lungo termine. Gli obiettivi vengono stabiliti in base alle condizioni cliniche e alla storia dietetica e devono tenere conto delle opinioni e della disponibilità paziente. Gli obiettivi devono essere chiari e concordati di volta in volta con il paziente. Gli obiettivi a breve termine vengono stabiliti in base alle priorità cliniche (esordio di malattia, scompenso glico-metabolico, ecc.) e in collaborazione con il team diabetologico. Gli obiettivi a medio e lungo termine vanno stabiliti in base all’evoluzione del quadro clinico, al raggiungimento degli obiettivi concordati e alla presenza di situazioni particolari (gravidanza, ipoglicemie frequenti, attività sportiva, febbre, ecc.). Il piano dietetico deve favorire e sostenere i comportamenti e le scelte alimentari del paziente per il raggiungimento ed il mantenimento degli obiettivi nutrizionali, con priorità per il compenso glicometabolico, attraverso: 1) la regolare distribuzione delle calorie giornaliere, 2) gli orari dei pasti, 3) la distribuzione regolare ed il contenuto costante dei carboidrati nei pasti, 4) le corrette modalità di consumo delle bevande alcoliche, 5) il corretto utilizzo dei carboidrati in relazione all’attività fisica e sportiva, 6) la gestione e la prevenzione delle ipoglicemie, 7) il consumo raccomandato di fibra. La compliance/concordance è favorita dall’utilizzo di liste di scambio, dall’identificazione delle porzioni, dalle informazioni sul contenuto in carboidrati degli alimenti, dall’educazione del paziente al calcolo del contenuto in carboidrati del pasto, dalla valutazione comparata del diario delle glicemie e di quello alimentare. Il piano dietetico deve inoltre favorire i comportamenti e le scelte alimentari del paziente per il raggiungimento e il mantenimento del compenso glico-metabolico e di uno stato nutrizionale soddisfacente attraverso: 1) l’equilibrio degli introiti proteici; 2) la varietà e la frequenza di consumo delle fonti proteiche; 3) la scelta dei condimenti; 4) la limitazione degli alimenti ricchi in sodio, grassi idrogenati o ad alta densità energetica; 5) il mantenimento e/o la riduzione graduale degli apporti di energia in relazione al body mass index e al deficit energetico eventualmente raccomandato; 6) l’avvicinamento quali-quantitativo alle raccomandazioni nutrizionali per la popolazione Italiana (gruppi alimentari, numero porzioni, frequenze di consumo); 7) il regolare svolgimento di attività fisica (30 min / die per almeno 3-4 die / sett.). La compliance/concordance è favorita dall’utilizzo del diario alimentare, dall’educazione alla lettura delle etichette e dalle informazioni fornite al paziente in modo mirato e graduale. L’informazione mirata, attuata nei tempi e nei modi opportuni, rappresenta infatti un efficace stimolo al cambiamento. É opinione dell’ANDID che il dietista debba acquisire abilità e competenze specifiche in ambito educativo, in particolare per quanto riguarda le tecniche della comunicazione, della motivazione e del problem solving. Ciò dovrebbe facilitare il superamento dell’approccio prescrittivo a favore di uno basato sulle modificazioni dello stile di vita. Il dietista deve porre inoltre particolare attenzione alla
prevenzione dell’insorgenza dei disturbi del comportamento alimentare, anche attraverso l’utilizzo di messaggi nutrizionali appropriati. Le “parole chiave” su cui focalizzare l’attenzione del paziente sono: 1) la funzione nutritiva degli alimenti, 2) l’entità delle porzioni, 3) il corretto inserimento nella razione alimentare degli alimenti “sconsigliati” o “pericolosi” e, 4) l’abilità di gestione delle situazioni a rischio. Ciò in alternativa a: 1) contenuto calorico, 2) prescrizione di precise grammature, 3) classificazione dei cibi in consigliati e proibiti e, 4) l’evitare situazioni critiche. Il dietista deve interagire con il team per identificare eventuali comportamenti borderline o indicativi di un disturbo del comportamento alimentare e per individuare le opportune strategie di trattamento. 2.3 Formazione e aggiornamento La formazione universitaria garantisce un’adeguata preparazione teorica e pratica in ambito diabetologico. É opportuno che l’attività di tirocinio pratico sia svolta presso servizi ospedalieri di Diabetologia con la supervisione di un dietista esperto. É inoltre auspicabile una formazione specifica in tecniche della comunicazione, educazione terapeutica, counseling, e/o problem solving. Per quanto attiene alla formazione continua in Medicina, l’ANDID auspica che almeno il 50% dei crediti sia ottenuto da eventi relativi alla diabetologia. 2.4 Valutazione dell’efficacia della prestazione Il dietista valuta e comunica regolarmente agli altri membri del team lo stato di adesione al piano dietetico. Gli obiettivi individuati in collaborazione con il team e concordati con il paziente, vengono controllati ed aggiornati in relazione al grado di compliance/concordance e alle condizioni cliniche del paziente. Tutti i dati vengono riportati sulla cartella dietistica, messa a disposizione del team. La durata della prestazione è un fattore che condiziona profondamente la qualità dell’assistenza nutrizionale del paziente diabetico. L’evidenza disponibile è in netto contrasto con la diffusa tendenza a contrarre la durata della prestazione del dietista, dimostrando che per il primo incontro sono necessari almeno 60 minuti e almeno 30 minuti per gli incontri successivi.(7) La frequenza dei controlli è condizionata dalle caratteristiche del paziente, dalle condizioni glico- metaboliche, dal grado di autogestione alimentare acquisito e dalla sua disponibilità e capacità di modificare lo stile di vita. Al fine di favorire il raggiungimento ed il mantenimento di questi obiettivi, sono richiesti almeno 3-4 incontri nei primi 3 mesi e, successivamente, almeno 6 incontri/anno. 3. Bibliografia 1. Franz MJ, Bantle JP, Beebe CA, et al. Nutrition principles and recommendations in diabetes. Diabetes Care 2004; 27 Suppl 1:S36-46 2. Franz MJ, Bantle JP, Beebe CA, et al. Evidence-based nutrition principles and recommendations for the treatment and prevention of diabetes and related complications. Diabetes Care 2003; 26 Suppl 1:S51-61 3. Franz MJ, Warshaw H, Daly AE, Green-Pastors J, Arnold MS, Bantle J. Evolution of diabetes medical nutrition therapy. Postgrad Med J 2003; 79:30-35 4. Pastors JG, Franz MJ, Warshaw H, Daly A, Arnold MS. How effective is medical nutrition therapy in diabetes care? J Am Diet Assoc 2003; 103:827-831 5. Gray EG, Gray LK. Evidence-based medicine: applications in dietetic practice. J Am Diet Assoc 2002; 102:1263-1272 6. Sackett DL, Strauss SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB. Evidence-based Medicine. Edinburgh: Churchill-Livingstone, 2000 7. American Dietetic Association. Medical Nutrition Therapy: Diabetes. Chicago, 2002 (CD-ROM) Ruolo del Dietista nella gestione nutrizionale del paziente con malattia renale Presentazione a cura del Dr. Giuseppe Quintaliani - Professore a contratto di Dietetica Nefrologica Università di Perugia; Membro comitato scientifico della Commissione Qualità Accreditamento della Società Italiana di Nefrologia; Socio onorario ANDID E’ un vero piacere presentare il lavoro che illustra le posizioni ANDID rispetto alla malattie renali. La patologia connessa alle malattie renali è in crescita in tutto il mondo soprattutto a causa dell’interessamento del rene nelle malattie degenerative che, a loro volta, sono in costante aumento non solo per l’aumento della vita media ma anche per il cambiamento degli stili di vitai. Si pensa che solo in Cina entro il 2005 ci sia la necessità di far fronte a circa 1 milione (!) di pazienti in dialisi. Le malattie che più si associano alla insufficienza renale cronica sono le cardiopatie, il diabete la aterosclerosi. Come è facile notare sono tutte malattie tipiche dell’età avanzata e sono tutte in relazione agli stili di vita in generale e alla alimentazione in particolare. E’ quindi con notevole attenzione e soddisfazione che ho seguito gli sforzi e del Comitato Direttivo, dell’ANDID tutta e del Gruppo Malattie Renali in particolare, di ritrovare una linea comune sull’annoso problema della dieta nella insufficienza renale cronica che ha una storia lunga e travagliata. E’ stato un merito della nefrologia italiana con Giovanetti, Maggiore e Giordano aver tra i primi compreso l’importanza della dieta come presidio terapeutico della insufficienza renale cronicaii. Al primo articolo del 1964 si sono succedute altre esperienze che tuttavia hanno trovato spesso resistenze e incomprensioni. Negli anni 70 la disponibilità crescente della dialisi ha indotto la sensazione che non ci fosse la necessità di allungare indefinitamente la fase conservativa con notevoli sacrifici sia di tipo alimentare che clinico. Si affacciavano le prime complicanze indotte da regimi alimentari incongrui o mal condotti ingenerando la sensazione che la dieta, oltre che essere di difficile accettazione e palatabilità, fosse anche inutile o addirittura dannosa. Negli anni 80 l’avvento di nuove molecole ipotensive apriva la strada a studi che hanno senza dubbio dimostrato che la insufficienza renale cronica possa essere trattata farmacologicamente con notevoli probabilità di successoiii, spostando la attenzione da un trattamento molto difficile, multidisciplinare, impegnativo e non scevro di problemi come quello dietologico ad uno di tipo farmacologico e quindi molto più gradito sia al medico che al paziente. Ciò ha contribuito non poco ad un allontanamento progressivo dalla dieta ipoproteica vista come una complicazione e non come una risorsa. Per di più la sensazione che la dieta potesse essere in qualche modo non risolutiva e di difficile compilazione oltre che di difficile accettazione da parte dei pazienti, ha fatto sì che questo presidio terapeutico fosse messo in sordina. Alla fine degli anni 90 e con l’avvento degli anni 2000 la situazione si è fatta però più complessa arrivando alla stesura di comportamenti più ponderati. Alla prima metanalisi favorevole alla dieta di Pedrini se ne è aggiunta un’altra del gruppo Cockraneiv, si sono poi rivisti con più attenzione i risultati dello studio MDRDv ed inoltre si è capito che la insufficienza renale cronica, come abbiamo sottolineato all’inizio, colpiva maggiormente anziani e malati con numerosi malattie comorbide e che la dieta poteva avere un effetto non trascurabile nel trattare tale patologia. Infatti i vantaggi non sono solo limitati a ritardare la progressione ma
influenzano anche vari aspetti metabolici e generali dell’organismo con notevoli vantaggi sia nel breve che lungo periodo. Altre testimonianze dimostrano un cambiamento della opinione sulla dieta. Nel 2004 Remuzzi, autorevole ricercatore ed autore di numerosi articoli scientifici sugli ACE inibitori, pubblicava un articolo insieme a Mitch, uno dei propugnatori della dieta e tra i ricercatori più famosi e quotati sull’argomento, in cui si chiedeva perchè era ancora così difficile prescrivere la dieta ipoproteicavi. Sembra quindi che a livello scientifico si sia arrivati finalmente ad una sintesi e che la dieta ipoproteica nella insufficienza renale cronica sia oramai accettata in maniera equilibrata. D’altro canto è facile cogliere questo aspetto se si esaminano le numerose linee guida sul trattamento della progressione della insufficienza renale. Sia le DOQI americane che le LG italiane della SIN, sono a favore dell’uso della dieta ipoproteica tracciando raccomandazioni sull’uso e sulla implementazione. Notevole l’ultima “consensus conference” del 2004 con raccomandazioni precise circa l’uso della dieta ipoproteicavii. Numerosi trattati che riguardano le malattie renali riportano come consigliata e consigliabile la dieta ipoproteica così come le raccomandazione dell’ADA la potente e famosa associazione dei dietisti americaniviii. In Italia mancava una forte consapevolezza della dieta e della filosofia che soggiace all’uso di particolari possibilità operative in ambito dietetico riguardanti la insufficienza renale. Non era raro trovare che la dieta fosse liquidata con schemi prefissati e con raccomandazioni generiche più dannose che utili, e che i professionisti fossero considerati interscambiabili qualunque fosse il loro background culturale. E’ merito quindi dell’ANDID avere raccolto la sfida di far divenire la prescrizione dietetica nelle malattie renali non una mera tabella di raccomandazioni e consigli, ma una vera e propria filosofia di approccio a un problema reale ed organico. Le posizioni dell’ANDID sono un vero e proprio “modus operandi”. Affermano la insostituibile presenza del dietista nell’ambito dell’équipe sanitaria che si occupa delle nefropatie (principio sancito anche dalla regione Marche che ha inserito il dietista nel percorso terapeutico), dando dignità e spazio ad un ruolo spesso, a torto, considerato subalterno. L’avvento del nuovo ordinamento dell’insegnamento universitario ha visto i dietisti in prima linea nel far valere i propri diritti, nella conquista della laurea di primo livello e che vedrà proprio il prossimo anno i primi laureati magistrali. Il lavoro di équipe è un nuovo modo di lavorare, tipico della mentalità anglosassone, al quale dovremo presto abituarci sia per la scarsità della risorsa tempo durante l’attività ambulatoriale sia per le notevoli capacità professionali espresse dalla categoria. Capacità professionali ben illustrate dalle posizioni ANDID. Un lavoro eccellente che richiama alla mente il manuale della qualità delle professioni sanitarie tanto da far pensare ad un processo di accreditamento di eccellenza della professione. I contenuti sono affrontati con competenza ed appropriatezza segno che le professioni espresse all’interno della associazione, che hanno all’attivo notevoli esperienze nel campo, si sono spese con passione ed impegno. Il documento procede da presupporti teorici ed organizzativi, mette al centro del processo il paziente (evidente il richiamo a basi metodologiche tipiche dell’ISO 9000 e della Joint Commission), ne sviluppa i bisogni e le risposte nel rispetto della medicina basata sulle prove di efficacia (EBM), con uno sguardo attento e preoccupato alle risorse disponibili e ai modelli di efficienza che devono necessariamente affiancare l’efficacia. Non ultimo pone a fondamento della attività dietistica l’aggiornamento e la capacità di autocritica e di valutazione in un ideale processo PDCA ix . Quest’ultimo approccio, che consiste nella continua valutazione del proprio operato comparandolo con linee guida di riconosciuta validità e la continua ricerca del miglioramento sono, a mio parere, il fulcro, la novità e il grande valore di queste posizioni. Da notare infine che il dietista con competenze renali deve aver svolto un adeguato training in strutture
ad alto valore professionalizzante e deve effettuare una formazione permanente e quindi un aggiornamento ECM nell’ambito dell’argomento. Posizioni molto avanzate che, di nuovo, si basano su modelli di certificazione di qualità internazionali. Il quadro che emerge segna una svolta importante. I medici hanno a disposizione uno strumento che può aiutarli a prendere decisioni e guidarli in maniera esaustiva verso il miglior impiego delle risorse. C’è la presa di coscienza che dei professionisti validi e motivati sono in grado di offrire una collaborazione vera, non sporadica, basata su evidenze ed esperienze e che il lavoro a loro demandato produrrà risultati validi secondo modalità basate su prove e sul principio dell’appropriatezza. Uno sforzo imponente che ha impegnato i colleghi dietisti per più di un anno, con conferenze riunioni e meeting su tutto il territorio nazionale, volti non solo alla diffusione delle informazioni ma anche al controllo dei pareri, alla raccolta delle critiche e suggerimenti. E’ quindi con notevole soddisfazione che saluto questa opportunità, i nefrologi non possono che plaudire ed essere lieti che altri professionisti della salute si uniscano a loro in un ideale team volto a rendere più facile ed efficace il trattamento dei pazienti. L’auspicio e’ che anche il mondo politico e del management sanitario possa considerare proficuo tale modello organizzativo che presuppone professionalità specifiche e quindi elevate da spendere in maniera corretta ed integrata nei vari reparti soprattutto negli ospedali di dimensioni più elevate. Per ultimo lasciate che, avendo condiviso molto del percorso che ha portato a queste posizioni ANDID, il mio personale plauso e riconoscimento vada a chi ha sempre creduto nella qualità, nella serietà professionale, nei principi di efficienza ed efficacia. Il loro impegno non è stato vano, il lavoro è di alto profilo qualitativo e sarà senza dubbio di insegnamento e stimolo per altri. 1 Edward H Wagner and Trish Groves Care for chronic diseases BMJ 2002; 325: 913-914.
1 Giovannetti S, Maggiore Q A low-nitrogen diet with protein of high biological value for severe chronic uremia. : Lancet I:1100:1004,1964
1 Ruggenenti et al: Renoprotective properties of ACE-inhibition in non-diabetic nephropathies with non-nephrotic proteinuria.Lancet. 1999 Jul 31;354(9176):359-64.
1 Fouque D, Wang P, Laville M, Boissel Low protein diets delay end-stage renal disease in non-diabetic adults with chronic renal failure JP.Nephrol Dial Transplant. 2000 Dec;15(12):1986-92.
1 Levey AS, ET AL : Dietary protein restriction and the progression of chronic renal disease: what have all of the results of the MDRD study shown? Modification of Diet in Renal Disease Study group.
1 Mitch WE, Remuzzi G. Diets for patients with chronic kidney disease, still worth prescribing.J Am Soc Nephrol. 2004 Jan;15(1):234-7.
1 Li PK, Weening, Mitch WE, D'Amico G, Remuzzi G; et al: A report with consensus statements of the International Society of Nephrology 2004 Consensus Workshop on Prevention of Progression of Renal Disease, Hong Kong, June 29, 2004.
1 Beto JA, Bansal VK. Medical nutrition therapy in chronic kidney failure: integrating clinical practice guidelines. J Am Diet Assoc. 2004 Mar;104(3):404-9.
1 Edwards Deming : Principles of professional statistical practice, Annals of Mathematical Statistics, vol.36, 1965: pp.1883-1900
Ruolo del Dietista nella gestione nutrizionale del paziente con malattia renale Anna Laura Fantuzzi, Annalisa Gennari,Franca Pasticci, Margherita Setari, Roberta Tundo (Gruppo di lavoro ANDID Malattie Renali) 1. Background L’alimentazione ha un ruolo cruciale in tutte le fasi evolutive dell’insufficienza renale cronica (IRC) (1 ,4). Il trattamento nutrizionale durante la fase conservativa contribuisce a controllare le principali alterazioni metaboliche dell’IRC e posticipa la dialisi e il trapianto. Il trattamento nutrizionale durante la fase sostitutiva è di ausilio nel controllo delle alterazioni metaboliche dell’IRC ed è fondamentale per il mantenimento di uno stato nutrizionale soddisfacente. Il trattamento nutrizionale effettuato da un dietista esperto migliora la qualità di vita del paziente con IRC, aumenta l’efficacia della terapia medica e riduce i costi assistenziali (5). 2. Posizione È posizione dell’ANDID che il dietista impegnato nel trattamento nutrizionale della malattia renale cronica: 1) ponga al centro del proprio intervento il paziente e le sue esigenze, 2) collabori attivamente con i membri del team nefrologico (nefrologo, infermiere, tecnico di dialisi, psicologo, ecc.) per attuare il suo ruolo specifico, 3) possegga una formazione specifica e un aggiornamento continuo nell’ambito delle malattie renali e, 4) valuti costantemente l’efficacia della sua prestazione. 2.1 Centralità del paziente Applicando i principi della Medicina basata sull’Evidenza, il dietista impiega il proprio giudizio professionale per adattare la miglior evidenza fornita dalla ricerca alla situazione clinica e personale del singolo paziente (6,7). Nel suo lavoro, il dietista applica le indicazioni fornite dalle linee guida nazionali e internazionali (2,4,5,8A,8B,9). 2.2 Ruolo del dietista Il dietista partecipa all’elaborazione del programma terapeutico valutando lo stato nutrizionale del paziente ed elaborando un piano dietetico personalizzato. Oltre ad essere esperto nella valutazione dello stato nutrizionale e nell’elaborazione di piani dietetici personalizzati, il dietista deve saper valutare gli elementi del quadro clinico e gli esami bioumorali che condizionano l’elaborazione del piano dietetico e sono necessari per una valutazione di efficacia della sua prestazione professionale (5). Il dietista documenta la propria attività su una cartella che mette a disposizione degli altri membri del team (5) . Il dietista interagisce con gli altri membri del team per identificare e promuovere i fattori individuali che possono favorire l’adesione al piano terapeutico complessivo (5). La valutazione dello stato nutrizionale comprende la valutazione della composizione corporea, del bilancio energetico e della funzionalità corporea (10). L’interesse del dietista verso la composizione corporea e il dispendio energetico è di tipo funzionale perché entrambi influenzano la funzionalità corporea e lo stato di salute. La tecnica di riferimento per la valutazione della composizione corporea nella pratica clinica è l’antropometria (11). Nel caso del paziente con IRC, la valutazione antropometrica di primo livello è rappresentata dalla misurazione del peso corporeo, della statura e della circonferenza della vita (4). In alcuni casi, può essere utile una valutazione antropometrica di secondo livello che comprende la misurazione della circonferenza del braccio e delle pliche tricipitale e sottoscapolare (12,13). In età pediatrica, la valutazione antropometrica comprende la misurazione di parametri auxologici specifici.
Il bilancio energetico rappresenta la differenza tra l’introito e il dispendio energetico. Il dietista valuta l’introito energetico utilizzando la storia dietetica e il diario alimentare. La storia dietetica viene condotta con intento sia quanti- sia quali-tativo. Sul versante quantitativo, essa viene utilizzata nel paziente con IRC per investigare: 1) energia, 2) proteine (totali e percentuale ad alto valore biologico), 3) carboidrati (totali, semplici e complessi), 4) lipidi (totali e saturi, monoinsaturi e polinsaturi), 5) colesterolo, 6) fibra, 7) sodio, 8) potassio, 9) calcio, 10) fosforo, 11) acqua, 12) alcool. Sul versante qualitativo, la storia dietetica viene utilizzata per investigare (13): 1) appetito, 2) digestione, 3) alvo, 4) storia ponderale, 5) allergie o intolleranze alimentari, 6) interazioni farmaco-nutrizionali, 7) storia dietetica pregressa, 8) attività fisica, 9) presenza di complicanze, 10) supporto psico-sociale, 11) stile di vita. È opinione dell’ANDID che la capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici e psico- sociali della storia dietetica costituisca la capacità centrale del dietista clinico impegnato nel trattamento delle malattie croniche, ivi compresa l’IRC. Il dietista stima il dispendio energetico attraverso l’utilizzo di algoritmi predittivi e sottopone il valore stimato al vaglio critico della storia dietetica e della composizione corporea controllata longitudinalmente. La valutazione della funzionalità corporea comprende l’interpretazione degli esami di funzionalità renale e di quelli bioumorali dello stato nutrizionale (4,5). L’elaborazione del piano dietetico deve applicare la miglior evidenza fornita dalla ricerca alle caratteristiche del singolo paziente (7). Il dietista concorda col paziente un programma di educazione alimentare che utilizza strumenti quali-e/o quanti-tativi volti al raggiungimento degli obiettivi terapeutici (5). La promozione della compliance/concordance al piano dietetico deve essere ottenuta ogniqualvolta possibile attraverso un programma di educazione alimentare fondato sul paziente e coordinato dal dietista (5). La compliance/concordance a breve termine viene valutata attraverso: 1) raggiungimento degli obiettivi concordati, 2) livello di soddisfazione, 3) stato antropometrico. La compliance a lungo termine viene valutata attraverso: 1) andamento del quadro clinico (in collaborazione con gli altri membri del team nefrologico), 2) consolidamento degli obiettivi concordati, 3) livello di soddisfazione, 3) stato antropometrico, 5) stato bioumorale. La compliance/concordance a lungo termine è favorita dal continuo adeguamento del piano dietetico alle esigenze del paziente, dall’impiego di strumenti concordati col paziente (ad es.: tavole bromatologiche, liste di scambio, educazione sulle porzioni, ricette e prove di cucina) ed incontri educazionali di gruppo. 2.3 Formazione e aggiornamento La formazione universitaria del dietista dovrebbe garantire un’adeguata preparazione teorica e pratica in ambito nefrologico. È opportuno che l’attività di tirocinio pratico sia svolta presso centri nefrologici ospedalieri con la supervisione di un dietista esperto. È inoltre auspicabile un periodo post-laurea della durata di almeno 6 mesi presso centri di riferimento nazionali e internazionali. Per quanto attiene alla formazione continua in Medicina, l’ANDID auspica che almeno il 50% dei crediti ECM sia ottenuto da eventi relativi alle malattie renali. 2.4. Valutazione dell’efficacia della prestazione Il dietista valuta e comunica regolarmente al nefrologo i progressi fatti dal paziente sul versante delle abitudini alimentari. Con la collaborazione del nefrologo, il dietista imposta e valuta gli obiettivi terapeutici specifici per il paziente (5). Questi obiettivi vengono trascritti sulla cartella dietistica che è messa a disposizione degli altri membri del team. Ciò è essenziale per una valutazione dell’efficacia della prestazione professionale del dietista. La durata della prestazione è un fattore che condiziona profondamente la qualità dell’assistenza nutrizionale del paziente con IRC. L’evidenza disponibile è in
netto contrasto con la diffusa tendenza a contrarre la durata della prestazione del dietista, dimostrando che per il paziente con IRC sono necessari 60-90 minuti di tempo per il primo incontro e 45-60 minuti per gli incontri successivi (5). La frequenza dei controlli è condizionata dallo stadio dell’IRC e dalla tipologia d’intervento nutrizionale (ad es., nel caso di un trattamento conservativo effettuato con una dieta fortemente ipoproteica supplementata è richiesto almeno un controllo mensile). In base agli studi disponibili, l’ANDID supporta la raccomandazione della National Kidney Foundation che sia disponibile un dietista esperto ogni 150 pazienti nefropatici (3). 3. Bibliografia
1. Fouque D. Why is the diet intervention so critical during chronic kidney disease? J Ren Nutr 2003; 13:173 2. EDTNA/ERCA Dietitians Special Interest Group. European Guidelines for the Nutritional Care of Adult Renal Patients, 2002 3. Clinical practice guidelines for nutrition in chronic renal failure. K/DOQI, National Kidney Foundation. Am J Kidney Dis 2000; 35:S1-140 4. Wiggins KL. Guidelines for nutritional care of renal patients. Chicago: Renal Dietitians Dietetic Practice Group of the American Dietetic Association, 2003. 5. American Dietetic Association. Medical Nutrition Therapy: Chronic Kidney disease (non-dialysis). Chicago, 2002 (CD-ROM). 6. Sackett DL, Strauss SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB. Evidence-based Medicine. Edinburgh: Churchill-Livingstone, 2000. 7. Gray EG, Gray LK. Evidence-based medicine: applications in dietetic practice. J Am Diet Assoc 2002; 102:1263-1272. 8A. Linee guida della Società Italiana di Nefrologia. Giornale Italiano di Nefrologia 1999; 16:1-86. 8B. Linee guida della Società Italiana di Nefrologia. Giornale Italiano di Nefrologia 2000; 17:1-64. 9. Engel B, Singh S, James G, Vennegoor M. Setting and achieving optimal nutritional status. Renal Nutrition Group Standards for Adult Renal Patients over 18 years old. London: British Dietetic Association, 1998. 10. Bedogni G, Borghi A, Battistini N. Principi di valutazione dello stato nutrizionale. Milano: EDRA, 1999:61. 11. World Health Organization. Physical status: the use and interpretation of anthropometry. World Health Organization Technical Report Series. Vol. 854: Geneva, 1995. 12. Kopple JD, Levey AS, Greene T, et al. Effect of dietary protein restriction on nutritional status in the Modification of Diet in Renal Disease Study. Kidney Int 1997; 52:778-91. 13. Fantuzzi AL, Bedogni G. Dieta ipoproteica e insufficienza renale cronica: manuale pratico per il dietista. Milano: UTET, 2003. Ruolo del Dietista nella prevenzione e nel trattamento della malnutrizione per difetto nel paziente, ospedalizzato e/o istituzionalizzato Presentazione a cura del Prof. Guglielmo Bonaccorsi - Professore Associato di Igiene e Medicina Preventiva - Dipartimento di Sanità Pubblica – Università degli Studi di Firenze; Consulente Scientifico ANDIDNotizie Il documento “Ruolo del Dietista nella prevenzione e nel trattamento della malnutrizione per difetto nel paziente, ospedalizzato e/o istituzionalizzato” elaborato dal gruppo di lavoro ANDID Malnutrizione, presenta dei decisi caratteri di novità, nonché alcune interessanti e innovative prese di coscienza professionale che potrebbero e dovrebbero riguardare l’intera categoria dei professionisti sanitari. Nello specifico, il richiamo fatto più volte alla maturazione e alla spendibilità di competenze (e non di conoscenze) professionali al servizio del cittadino (sia esso paziente/istituzionalizzato, sia individuo socializzato autosufficiente) si incardina sia nella franca dimensione della sanità pubblica in senso lato (ovvero il perseguimento del massimo grado di benessere possibile per qualsiasi soggetto, in qualunque condizione pregressa e fascia di età), sia nella valorizzazione di una figura professionale che, nel tempo, si è dotata di uno spazio di piena autonomia professionale. Il dietista ha ben chiaro che la malnutrizione richiede una gestione integrata, multidisciplinare, per ogni soggetto a rischio o già malnutrito, oltre che una sorveglianza complessiva della comunità e di alcuni target ad alto rischio. Il dietista sa che la sua professionalità deve essere complementare ad altre, ma non si esime dall’assumersi le proprie responsabilità gestionali, epidemiologiche e (nel rispetto dei vincoli imposti dalla propria formazione) cliniche, che derivano direttamente dalla maturazione di competenze acquisite nel percorso universitario e nella formazione continua post-base. In questa ottica, agisce da professionista che si dota di strumenti operativi, quali la cartella dietistica, ove raccoglie elementi anamnestici nutrizionali e valutazioni cliniche in progress, ponendo gli stessi a disposizione di qualunque figura eserciti un ruolo attivo nel percorso di assistenza e cura del soggetto istituzionalizzato. E’ auspicabile che, in un futuro prossimo, anche la cartella dietistica si ricollochi nel quadro di una cartella informatizzata unica cui tutti, indipendentemente dalla posizione occupata e dalla laurea acquisita, facciano riferimento e raccolgano informazioni di importanza strategica per la salute del cittadino assistito. Il cittadino è posto dal dietista al centro dell’ideale percorso assistenziale, laddove deve essere collocato in virtù di ragioni etiche e di congruità terapeutiche: solo un soggetto informato e reso cosciente di ciò che, anche in materia nutrizionale, abbia per lui una ricaduta positiva in termini di salute può intraprendere scelte mature e coerenti a favore del proprio benessere. Il coinvolgimento ampio del nucleo familiare nel meccanismo delle decisioni strategiche in materia nutrizionale è coerente al recupero di una visione a 360° dell’individuo socializzato e che afferma un proprio ruolo nella prima dimensione del viver civile, quella della famiglia appunto. Tema chiave toccato dal documento è quello del continuo aggiornamento professionale su argomenti direttamente connessi alla malnutrizione per difetto che, lungi dal rappresentare una visione anacronistica della realtà cogente, interessa in particolare i soggetti istituzionalizzati, come la letteratura nazionale e internazionale riporta in maniera unanime. Nel documento si fa strada anche un’idea che deve, necessariamente, maturare negli anni a venire: l’istanza preventiva e l’analisi di rischio per intercettare i soggetti fragili dal punto di vista nutrizionale e favorire l’intervento di correzione quando ancora non siamo di fronte a una situazione di evidente scompenso. In questo senso, l’attenzione al rilievo antropometrico e alla storia dietetica rappresentano
validi ausilii, classicamente in possesso della professione ma rivisitati secondo l’ottica di previsione e prevenzione del danno che non può che essere avvalorata da chi, come me, si occupa e fa parte del mondo della prevenzione. Infine, l’attenzione e l’”apertura” dedicata alla ristorazione collettiva, in particolare a quella comunitaria ad alto valore sociosanitario (bambini, anziani, lavoratori di industria) rivela il nuovo, o quantomeno rivisitato, spazio professionale che il dietista si accinge ad occupare (se i modelli di sanità pubblica avranno sufficiente implementazione e non naufragheranno alla luce di una devolution sanitaria che introduce elementi di complessità ancora difficilmente interpretabili) nei servizi di igiene degli alimenti e della nutrizione, fianco a fianco con le competenze classicamente operanti in queste strutture ma mai più in subordine né in una prospettiva minoritaria. Ognuno faccia la sua parte: sulla malnutrizione, da tempo il dietista ha iniziato a fare la sua. Ruolo del Dietista nella prevenzione e nel trattamento della malnutrizione per difetto nel paziente, ospedalizzato e/o istituzionalizzato Susanna Agostini, Giovanna Cecchetto, Maria Luisa Masini, Ersilia Troiano, Stefania Vezzosi (Gruppo di lavoro ANDID Malnutrizione)
1. Background La malnutrizione per difetto ignorata, causata, o peggiorata durante il ricovero in Ospedale è frequente in Europa (20-30%) (1,2). Tale condizione, nota come malnutrizione ospedaliera, peggiora lo stato di salute del paziente, prolunga la degenza ospedaliera ed è incompatibile con un moderno standard di cura. Il Consiglio d’Europa ha identificato cinque fattori coinvolti nella malnutrizione ospedaliera in Europa 2: 1) assenza di chiarezza o diluizione di responsabilità relativamente all’assistenza nutrizionale, 2) mancanza di formazione nutrizionale adeguata tra gli operatori sanitari, 3) ignoranza delle necessità e del parere del paziente, 4) mancanza di cooperazione tra i differenti operatori sanitari e, 5) assenza di interesse da parte della dirigenza sanitaria. 2. Posizione É posizione dell’ANDID che il dietista impegnato nel trattamento della malnutrizione per difetto: 1) ponga al centro del proprio intervento il paziente e le sue esigenze, 2) collabori attivamente con gli altri operatori coinvolti nel processo assistenziale (medico, infermiere, manager ospedaliero, manager della ristorazione, addetto alla ristorazione) per attuare il suo ruolo specifico, 3) effettui un aggiornamento continuo nell’ambito della malnutrizione per difetto e, 4) valuti costantemente l’efficacia della sua prestazione. 2.1 Centralità del paziente Applicando i principi della Medicina basata sull’Evidenza (3,4), il dietista impiega il proprio giudizio professionale per adattare la miglior evidenza fornita dalla ricerca alla situazione clinica e personale del singolo paziente. Nel suo lavoro, il dietista tiene conto delle indicazioni fornite dalle linee guida nazionali e internazionali e dai percorsi diagnostico-terapeutici (2) . 2.2 Ruolo del dietista Il dietista partecipa alla definizione del processo assistenziale finalizzato alla prevenzione e al trattamento della malnutrizione per difetto nel paziente ospedalizzato e/o istituzionalizzato. Il processo
assistenziale della nutrizione comincia con la valutazione del rischio nutrizionale. Il dietista collabora con il medico e l’infermiere alla definizione del sistema di valutazione del rischio nutrizionale. La valutazione del rischio nutrizionale dovrebbe essere effettuata in modo routinario prima o al momento del ricovero in ospedale o altra struttura e dovrebbe essere ripetuta ad intervalli di tempo definiti sulla base del livello di rischio identificato. L'identificazione di un paziente a rischio nutrizionale deve essere seguita dalla valutazione dello stato nutrizionale e dalla definizione di un piano di trattamento comprendente gli obiettivi dietetici, il monitoraggio dell'introito di energia e nutrienti, il controllo del peso corporeo e la valutazione dell’efficacia del piano nutrizionale stesso. Oltre ad essere esperto nella valutazione dello stato nutrizionale e nell’elaborazione di piani dietetici, il dietista deve saper valutare gli elementi del quadro clinico e gli esami bioumorali che condizionano l’elaborazione del piano dietetico e che sono necessari per una valutazione di efficacia della prestazione professionale. Il dietista documenta la propria attività su una cartella che mette a disposizione di tutti gli operatori coinvolti nel processo assistenziale. Il dietista interagisce con gli altri operatori per identificare e promuovere i fattori individuali, organizzativi e gestionali che possono favorire la realizzazione del processo assistenziale e l’adesione al piano terapeutico complessivo. Il dietista si applica, in prima persona e attraverso la sua Associazione professionale, perché requisiti specifici riguardanti il processo assistenziale della nutrizione siano inclusi negli standard di accreditamento degli Ospedali e delle Aziende Sanitarie. La valutazione dello stato nutrizionale comprende la valutazione della composizione corporea, del bilancio energetico e della funzionalità corporea (5). L’interesse del dietista verso la composizione corporea e il dispendio energetico è di tipo funzionale perché entrambi influenzano la funzionalità corporea e lo stato di salute. La tecnica di riferimento per la valutazione della composizione corporea nella pratica clinica è l’antropometria (6) . Nel caso del paziente con malnutrizione per difetto, la valutazione antropometrica di primo livello è rappresentata dalla misurazione del peso corporeo e della statura. In alcuni casi, può essere utile una valutazione antropometrica di secondo livello che comprende la misurazione della circonferenza del braccio e delle pliche tricipitale e sottoscapolare. La valutazione antropometrica di secondo livello dovrebbe essere sempre effettuata quando non è possibile misurare il peso e la statura. In età pediatrica, la valutazione antropometrica comprende la misurazione di parametri auxologici specifici. Il bilancio energetico rappresenta la differenza tra l’introito e il dispendio energetico. Il dietista valuta l’introito energetico utilizzando la storia dietetica. La storia dietetica viene condotta con un intento sia quanti- sia quali-tativo. Sul versante quantitativo, essa è utilizzata nel paziente con malnutrizione per difetto per investigare: 1) energia, 2) proteine (totali e percentuale ad alto valore biologico), 3) carboidrati, 4) lipidi, 5) fibra, 6) acqua, 7) alcool. Sul versante qualitativo, la storia dietetica viene utilizzata per investigare: 1) autosufficienza, 2) appetito, 3) competenza funzionale del tratto oro-faringeo (dentizione, masticazione e deglutizione), 4) digestione, 5) alvo, 6) storia ponderale, 7) allergie o intolleranze alimentari, 8) interazioni farmaco-nutrizionali, 9) storia dietetica pregressa, 10) attività fisica, 11) presenza di complicanze, 12) supporto psico-sociale, 13) stile di vita. É opinione dell’ANDID che la capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici e psico-sociali della storia dietetica costituisca la capacità centrale del dietista clinico. Il dietista stima il dispendio energetico attraverso energetico attraverso l’utilizzo di algoritmi predittivi e sottopone il valore stimato al vaglio critico della storia dietetica e della composizione corporea controllata longitudinalmente. La valutazione della funzionalità corporea comprende l’interpretazione degli esami bioumorali dello stato nutrizionale. L’elaborazione dei piani dietetici deve applicare la miglior evidenza fornita dalla ricerca alle caratteristiche dei pazienti. Il dietista concorda col paziente e/o con la famiglia il piano dietetico elaborato. La promozione della compliance/concordance al piano dietetico deve essere ottenuta ogni qualvolta possibile attraverso l'adozione di un programma
informativo-educativo fondato sui bisogni e sulle risorse del paziente e coordinato dal dietista. La compliance/concordance a breve termine viene valutata attraverso: 1) raggiungimento degli obiettivi concordati, 2) valutazione dei consumi alimentari, 3) livello di soddisfazione, 4) stato antropometrico. La compliance/concordance a lungo termine viene valutata attraverso 1) andamento del quadro clinico (in collaborazione con gli altri membri del team assistenziale), 2) consolidamento degli obiettivi concordati, 3) livello di soddisfazione, 4) stato antropometrico, 5) stato bioumorale. Il mantenimento della compliance/concordance è favorito dal continuo adeguamento del piano dietetico alle esigenze del paziente e dall’impiego di strategie e strumenti concordati col paziente. Le strategie comprendono la scelta di alimenti e di preparazioni più gradite, l’adeguamento delle porzioni e l’impiego degli integratori e del supporto artificiale, secondo le priorità raccomandate dalle linee guida nazionali e internazionali (vitto ordinario > integratori > nutrizione artificiale). Le competenze comunicative del dietista e la qualità della relazione terapeutica instaurata sono essenziali per il mantenimento della compliance/concordance a lungo termine. Per quanto attiene alla ristorazione collettiva, la specificità professionale deldietista è quella di saper coniugare gli aspetti organizzativi e igienico-sanitaria quelli nutrizionali. Il dietista: 1) collabora alla stesura dei capitolati relativamente alle caratteristiche merceologiche ed organolettiche delle derrate alimentari e alle caratteristiche logistiche ed organizzative del servizio; 2) elabora i menu in relazione alle esigenze nutrizionali e dietetiche degli utenti con particolare attenzione alle categorie di pazienti a rischio (alimenti ad alta densità energetica e proteica, a consistenza modificata, arricchiti con snack e spuntini); 3) collabora alla stesura delle ricette e alla definizione delle procedure di preparazione e realizzazione dei cibi; 4) garantisce l’individualizzazione e la flessibilità dei menu; 5) implementa la comunicazione fra i diversi professionisti, gli utenti e le istituzioni, promovendo una visione globale dell’assistenza nutrizionale (aspetti clinici, igienici, economici, gestionali e formativi) e garantendo il miglior utilizzo delle risorse; 6) svolge attività didattica finalizzata alla formazione e all’aggiornamento degli operatori dell’area sanitaria e non sanitaria coinvolti nell’assistenza nutrizionale dei pazienti. 2.3 Formazione e aggiornamento La formazione universitaria di base del dietista fornisce un’adeguata preparazione teorica e pratica per la prevenzione e il trattamento della malnutrizione per difetto. É opportuno che l’attività di tirocinio pratico sia svolta presso strutture sanitarie con la supervisione di un dietista esperto. Per quanto attiene alla formazione continua in medicina, l’ANDID auspica che almeno una parte dei crediti ECM sia ottenuto da eventi relativi alla nutrizione artificiale e alla ristorazione collettiva. 2.4 Valutazione dell’efficacia della prestazione Il dietista valuta la qualità della propria attività professionale attraverso la revisione continua dei risultati rispetto a standard professionali e assistenziali definiti. A questo scopo condivide con il team assistenziale tutti i dati e le informazioni relative alla nutrizione del paziente contenute nella cartella dietistica. La documentazione delle attività e dei risultati è parte integrante della pratica professionale del dietista volta al miglioramento continuo della qualità. 3. Bibliografia 1. Corish CA, Kennedy NP. Protein-energy malnutrition in hospital in-patients. Br J Nutr 2000; 83:575-591 2. Council of Europe. Food and nutritional care in hospitals: how to prevent undernutrition. Strasbourg: Council of Europe Publishing, 2002 3. Gray EG, Gray LK. Evidence-based medicine: applications in dietetic practice. J Am Diet Assoc 2002; 102:1263-1272 4. Sackett DL, Strauss SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB. Evidence-based Medicine.
Edinburgh: Churchill-Livingstone, 2000 5. Bedogni G, Battistini N, Borghi A. Principi di valutazione dello stato nutrizionale. Milano: EDRA,‘99 6. World Health Organization. Physical status: the use and interpretation of anthropometry. World Health Organization Technical Report Series. Geneva, 1995
RUOLO DEL DIETISTA NELLA GESTIONE INTEGRATA DELLA NUTRIZIONE ARTIFICIALE Fina Belli, Maurizio Fadda, Maria Teresa Semenzin, Marisa Sillano, Graziella Xompero (Gruppo di lavoro ANDID – Nutrizione Artificiale)
Presentazione a cura del Dr. Andrea Pezzana – Socio Onorario ANDID La crescente attenzione agli aspetti qualitativi delle prestazioni sanitarie e la necessità di garantire equa accessibilità a prestazioni di eccellenza fa emergere la Nutrizione Artificiale come ambito di particolare interesse nello scenario dell’odierna sanità. La Nutrizione Artificiale, infatti, rappresenta un’ opzione terapeutica che, alla luce delle esperienze pubblicate e delle più recenti Linee Guida nazionali e internazionali, deve essere disponibile all’interno dei percorsi terapeutici ospedalieri e domiciliari in numerose condizioni patologiche acute e croniche: contribuisce infatti in modo significativo al miglioramento di outcomes clinici e funzionali, non solo in un’ottica di sostituzione di un’alimentazione spontanea impossibile o insufficiente, ma anche fornendo substrati specifici con potenzialità sempre più evidenti di farmaco-nutrizione. Con tali premesse l’ambito della Nutrizione Artificiale diventa in maniera sempre più netta un campo di condivisione di competenze e conoscenze, di integrazione di professionalità, di aggiornamento dedicato e continuativo. Non si può quindi che salutare con piacere l’uscita di una Position dell’Associazione Nazionale Dietisti che fa sue e ribadisce le premesse qui riportate e rivendica un ruolo per la professionalità del Dietista anche in questo ambito, in un’ottica multiprofessionale e interdisciplinare. La partecipazione ormai quindicennale a corsi di formazione e aggiornamento specificatamente dedicati al Dietista nell’ambito della Nutrizione Enterale ospedaliera e domiciliare ha costituito per me un osservatorio specifico nella valutazione dell’evoluzione della professionalità dietistica: dai dubbi (taciuti o vivacemente espressi) rispetto alla possibilità da parte del Dietista stesso di partecipare a percorsi terapeutici di Nutrizione Artificiale si è gradualmente arrivati alla definizione di un ruolo specifico, in affiancamento ad altre figure professionali, nella creazione di una rete di riferimento, nella partecipazione a trial clinici, nella definizione di percorsi formativi mirati alle problematiche specifiche. A tal proposito va ricordato che la materia è oggetto di insegnamenti specifici nell’ambito degli attuali percorsi formativi universitari per il Dietista, ma la peculiarità della Nutrizione Artificiale stessa fa ribadire agli autori della Position la necessità di svolgerne l’attività didattica presso centri accreditati, con provata esperienza, e, aggiungerei, possibilmente attivi sia a livello ospedaliero che domiciliare, visti i trend di incremento di tale metodica a livello del territorio, ampiamente giustificati sia da valutazioni della ricaduta sulla qualità di vita dei pazienti, sia da considerazioni di tipo clinico e assistenziale. A tal proposito va ricordato che le recenti revisioni di numerose Leggi o normative regionali italiane sulla Nutrizione Artificiale Domiciliare evidenziano la professionalità dietistica come risorsa necessaria all’attivazione di percorsi terapeutici in tale ambito e, in alcuni casi, ne evidenziano le peculiarità non delegabili ad altre figure professionali. Il coinvolgimento del Dietista nel settore della Nutrizione Artificiale ha quindi in un certo senso segnato l’evoluzione della professione e della professionalità: da ambito “per pochi” in un clima di confusione, vuoto legislativo e profonde disparità formative e culturali la Nutrizione Artificiale è diventata uno specifico campo di intervento per il Dietista stesso, nel rispetto della centralità del paziente e della creazione di reti multiprofessionali e multidisciplinari. RUOLO DEL DIETISTA NELLA GESTIONE INTEGRATA DELLA NUTRIZIONE ARTIFICIALE Fina Belli, Maurizio Fadda, Maria Teresa Semenzin, Marisa Sillano, Graziella Xompero (Gruppo di lavoro ANDID – Nutrizione Artificiale)
1. Background Numerosi trial randomizzati controllati (1) hanno dimostrato che la nutrizione artificiale (enterale, parenterale e per via orale tramite integratori specifici) ospedaliera e domiciliare, se correttamente applicata secondo le Linee Guida nazionali e internazionali (2,3,4,5,6), può contribuire fondamentalmente a: • Sostituire o integrare un’alimentazione spontanea controindicata o insufficiente migliorando
sostanzialmente l’apporto nutrizionale
• Attenuare la perdita di peso e la perdita di massa magra • Migliorare gli outcome funzionali • Migliorare gli outcome clinici diminuendo la mortalità, la morbilità, le complicanze e la durata della
degenza, riducendone nel contempo i costi.
Il Consiglio d’Europa raccomanda una gestione appropriata del supporto nutrizionale artificiale, anche attraverso un più accurato monitoraggio, l’utilizzo di protocolli, una maggiore razionalizzazione degli acquisti ed un’appropriata scelta delle tecniche di supporto (7).
Le suddette Linee Guida affermano altresì, che la gestione della nutrizione artificiale debba essere affrontata nella sua interezza da un team dedicato: l’erogazione della nutrizione artificiale richiede un lavoro coordinato di collaborazione tra singole figure professionali per riconoscere e trattare i pazienti a rischio di malnutrizione (5).
Viene altresì affermato in letteratura che componente indispensabile (2) di questa organizzazione è la figura del dietista in quanto professionista esperto, in possesso di specifica formazione in nutrizione artificiale, in grado di fornire il miglior supporto nutrizionale al paziente mantenendo la sua responsabilità nella valutazione, pianificazione, implementazione e monitoraggio della nutrizione artificiale. 2. Posizione E’ posizione dell’Andid che il dietista impegnato nel trattamento integrato della nutrizione artificiale: 1) ponga al centro del proprio intervento il paziente e le sue esigenze, 2) collabori attivamente con gli altri membri del team nutrizionale (medico, infermiere, farmacista, ecc.) per attuare il suo ruolo specifico, 3) possegga specifica formazione, esperienza e aggiornamento continuo nell’ambito della nutrizione artificiale, 4) valuti costantemente l’efficacia della sua prestazione professionale (8,9). 2.1. Centralità del paziente Applicando i principi della medicina basata sull’evidenza, il dietista impiega il proprio giudizio professionale per adattare la migliore evidenza fornita dalla ricerca alla situazione clinica e personale del singolo paziente (10-11) Nella pratica professionale il dietista, applica le indicazioni fornite dalle Linee Guida nazionali e internazionali e dai percorsi diagnostico-terapeutici (4,10,11,12). 2.2. Ruolo del Dietista Il dietista partecipa alla definizione del processo assistenziale della nutrizione allo scopo di fornire ai pazienti la terapia nutrizionale più efficace e sicura rispetto alla loro condizione clinica, sia all’interno delle strutture sanitarie sia in ambito domiciliare. Tale processo comincia con la valutazione del rischio nutrizionale: il dietista partecipa insieme al team alla definizione del sistema di valutazione del rischio nutrizionale. La definizione del rischio include l’identificazione dei pazienti che non possono o non devono alimentarsi per via orale e la selezione di coloro che possono ricevere benefici dall’utilizzo della nutrizione artificiale per mantenere un adeguato stato nutrizionale, controllare deficit nutrizionali ed ottenere conseguentemente un miglioramento della qualità di vita e della loro condizione clinica. L’identificazione di un paziente a rischio nutrizionale deve essere seguita dalla valutazione dello stato nutrizionale, dalla definizione di un piano di trattamento nutrizionale personalizzato, dall’implementazione, dal monitoraggio e dalla valutazione dell’efficacia del piano stesso. Il contributo specifico del dietista alla valutazione dello stato nutrizionale comprende: 1) la valutazione della composizione corporea e 2) la valutazione del bilancio energetico. La tecnica di riferimento per la valutazione della composizione corporea nella pratica clinica è l’antropometria (13). In età pediatrica la valutazione antropometrica comprende la misurazione di parametri auxologici specifici . Per quanto riguarda il bilancio energetico questo rappresenta la differenza tra l’introito e il dispendio energetico: il dietista valuta l’introito utilizzando la storia dietetica, che viene condotta con un intento quali-quantitativo, bio-psico-sociale e pedagogico e stima il dispendio energetico attraverso l’utilizzo di algoritmi predittivi sottoponendo il valore stimato al vaglio critico della storia dietetica e della composizione corporea controllata longitudinalmente. Durante la conduzione della storia dietetica sul versante qualitativo vengono investigati: 1) autosufficienza, 2) appetito, 3) competenza funzionale del tratto oro-faringeo (dentizione, masticazione e deglutizione) e gastro-intestinale, 4) digestione, 5) alvo, 6) storia ponderale, 7) allergie o intolleranze alimentari, 8) interazioni farmaco-nutrizionali, 9) storia dietetica pregressa, 10) attività fisica, 11) presenza di complicanze, 12) supporto psico-sociale, 13) stile di vita. Sul versante quantitativo la storia dietetica è utilizzata per investigare: 1) energia, 2) proteine (totali e percentuale ad alto valore biologico), 3) carboidrati, 4) lipidi, 5) fibra, 6) acqua, 7) alcool. E’ opinione dell’Andid che la capacità di coniugare nella giusta misura gli aspetti biologici e psico- sociali della storia dietetica costituisca la capacità centrale del dietista clinico. La storia dietetica correlata al quadro clinico e ai trattamenti previsti costituisce per il team presupposto fondamentale per la corretta indicazione alla nutrizione artificiale e per la scelta del supporto nutrizionale più appropriato. L’elaborazione del piano nutrizionale deve applicare la migliore evidenza fornita dalla ricerca alle caratteristiche del singolo paziente. Il piano nutrizionale deve essere individualizzato, facilmente applicabile alla quotidianità, flessibile e graduale, prevedendo obiettivi a breve, medio e lungo termine. Gli obiettivi vengono stabiliti in base alle condizioni cliniche e alla storia dietetica e devono tenere conto delle opinioni e della disponibilità del paziente. Devono essere chiari e concordati di volta in volta con il paziente. Gli obiettivi a breve termine vengono stabiliti in base alle priorità cliniche e in collaborazione con il team nutrizionale. Quelli a medio e lungo termine vanno stabiliti in base all’evoluzione del quadro clinico, al raggiungimento degli obiettivi concordati e alla presenza di situazioni particolari . Il dietista contribuisce alla scelta della supplementazione orale, della formula nutrizionale sulla base della storia dietetica, della valutazione antropometrica, del bilancio energetico e degli obiettivi nutrizionali concordati. Partecipa all’implementazione e al monitoraggio del piano nutrizionale
assicurando apporti nutrizionali appropriati, concorrendo con gli altri componenti del team nutrizionale al miglioramento dell’outcome del paziente. La promozione della compliance/concordance al programma nutrizionale deve essere ottenuta ogni qualvolta possibile attraverso l’adozione di un programma informativo- educativo fondato sui bisogni e sulle risorse del paziente e della sua famiglia (8). La compliance/concordance viene valutata attraverso il raggiungimento degli obiettivi concordati e all’andamento del quadro clinico-nutrizionale insieme con gli altri membri del team.
Allo scopo di aumentare l’efficacia della prestazione ed elevare lo standard qualitativo del supporto nutrizionale artificiale, il dietista: 1) partecipa alla stesura e implementazione delle Linee Guida nazionali ed internazionali, 2) partecipa alla stesura dei protocolli operativi presso le strutture sanitarie e a livello domiciliare, 3) svolge attività didattica finalizzata alla formazione e all’aggiornamento degli operatori dell’area sanitaria e non coinvolti nell’assistenza nutrizionale dei pazienti (8). 2.3. Formazione, aggiornamento e ricerca La formazione universitaria di base dovrebbe garantire un’adeguata preparazione teorica e pratica per la gestione integrata della nutrizione artificiale. E’ opportuno che l’attività di tirocinio pratico del Corso di Laurea in Dietistica sia svolta presso Centri di nutrizione artificiale accreditati, con la supervisione di un dietista esperto (14,15) . L’Andid auspica inoltre che il dietista si occupi dell’insegnamento degli studenti del Corso di Laurea in Dietistica o di altri Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie. E’ inoltre auspicabile un periodo di formazione dedicata post-laurea nel campo della nutrizione artificiale, tramite la frequenza presso centri di riferimento nazionali o internazionali e/o la partecipazione ad eventi formativi specifici. Per quanto attiene alla formazione continua in medicina, l’Andid auspica che almeno il 50 % dei crediti ECM sia ottenuto da eventi relativi alla nutrizione artificiale. Per quanto riguarda l’ambito della ricerca il dietista deve implementare, condurre e partecipare a ricerche cliniche nell’ambito della nutrizione artificiale in collaborazione con un team interdisciplinare 2.4. Valutazione dell’efficacia della prestazione Il dietista valuta la qualità della propria attività professionale attraverso la revisione costante dei risultati rispetto a standard professionali e assistenziali definiti e ai livelli di qualità più ampiamente condivisi(17), al fine anche di implementare ricerche specifiche sull’efficacia dell’ intervento nutrizionale e sui suoi costi (18,19). A questo scopo condivide con il team nutrizionale tutti i dati e le informazioni cliniche di sua competenza relative alla nutrizione del paziente contenute nella cartella dietistica. Il dietista, nell’ambito dell’intervento di nutrizione artificiale deve definire i protocolli terapeutici, identificare gli indicatori di outcome, applicare l’intervento nutrizionale, documentare i processi e i risultati, implementare ricerche specifiche sull’efficacia dell’ intervento nutrizionale e sui suoi costi (18,
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