Farah aveva tredici anni e viveva in un piccolo villaggio dell’Arabia Saudita. Il padre era un ingegnere e quando Farah era piccola lei e la mamma lo avevano seguito nei suoi viaggi, poiché la sua compagnia lo aveva fatto spostare di paese in paese per realizzare le enormi strutture industriali delle quali era esperto.
Ma quando erano nati i gemelli, i suoi fratellini più piccoli, non era stato più possibile trasferire con facilità la famiglia, ormai numerosa. Inoltre la mamma era molto attaccata alle sue tradizioni e non era sempre facile adottarle nei paesi nei quali era costretta a vivere, e così avevano deciso che i ragazzi e la mamma sarebbero andati a stare con i nonni, nel loro paesino di origine.
Erano andati avanti cosi per qualche anno, riunendosi solo per le feste e per le grandi occasioni, ma quella manciata di giorni rendeva il dolore del distacco quasi più forte della gioia dell’incontro.
Poi il papà aveva avuto un periodo molto difficile, era stato male ed aveva rischiato di perdere il lavoro. La mamma lo aveva raggiunto per molti mesi, standogli accanto fino a quando la situazione era tornata normale. Adesso viveva sei mesi all’anno con i figli e sei mesi in giro per il mondo con il marito, non osava più lasciarlo solo per tanto tempo. Era stato un periodo duro per i bambini e soprattutto per Farah, che era abbastanza grande per ricordare le belle case, le feste di compleanno, l’asilo internazionale che aveva frequentato, un bel contrasto con il piccolo villaggio nel quale vivevano adesso. Niente centri commerciali, niente cartoni animati in inglese, francese, niente feste di Natale all’europea. La casa dei nonni era grande e confortevole, ma anche antiquata e noiosa, specie per una ragazza della sua età. Continuava ad andare a scuola con mille sacrifici, prendendo un pullman, che all’alba percorreva ben sessanta chilometri di strada accidentata, per portarla nell’unica scuola dove poteva continuare a studiare secondo un programma a malapena paragonabile agli standard europei. I gemelli no, loro erano felici della libertà che il villaggio offriva.
Ora c’era grande agitazione in famiglia: un collega del padre gli aveva proposto un impiego in Italia, come consulente in una nuova società. Quel fine settimana lei e la mamma volarono a Riyadh. Erano in programma una cena informale con il collega italiano, prima dell’incontro, il giorno dopo, con i referenti della società per la quale il padre si candidava. L’italiano aveva con sé la famiglia, e i genitori di Farah avevano pensato che sarebbe stato carino per la ragazza partecipare anche lei. L’albergo era bellissimo e, dopo un pomeriggio di shopping indispensabile per trovarle qualcosa da mettere che non sembrasse tessuto a mano nel villaggio, puntualissimi alle otto erano pronti per la cena. Gli italiani avevano due figli, uno un po’ più grande e uno appena più piccolo di Farah. Furono cordiali e simpatici, sembravano “allenati” a questo tipo di
serate. Parlavano un ottimo inglese e a Farah, che lo adorava, sembrò di essere in un sogno. Anche loro avevano frequentato scuole internazionali, a volte persino le stesse di Farah, ma in anni diversi. Essi scambiarono battute su professori che avevano avuto in comune e si raccontarono episodi buffi, proprio come dei compagni di scuola che si ritrovano. L’anno dopo avrebbero frequentato il liceo francese a Roma, come Farah. Era una bella notizia per lei, che si sarebbe sentita meno sola. Aveva sei mesi per rispolverare il suo francese, e prepararsi a cominciare una nuova vita… ma sei mesi passano velocemente e prima di quanto potesse immaginarsi Farah si ritrovò a Roma in una nuova città, in un nuovo quartiere, in una nuova casa.
Prima di lasciare il suo villaggio era avvenuta una novità: la mamma e la nonna le avevano chiesto di indossare il velo, come una vera donna musulmana, come un’adulta. La questione le era stata posta in modo assolutamente positivo e come simbolo della sua crescita, accompagnata da festeggiamenti e sorrisi; la ragazza aveva accettato facilmente, orgogliosa del suo nuovo status e senza pensare che questo le avrebbe potuto recare svantaggio in un ambiente nuovo e sconosciuto.
Il primo giorno di scuola era un po’ agitata: le sue maniche lunghe ed il suo velo facevano uno strano contrasto con gli abiti corti e leggeri, ancora estivi, delle altre ragazze, ma per lei erano quasi uno scudo che la proteggeva da un mondo ancora ignoto. Per fortuna appena entrata, insieme alle occhiate curiose e sospettose di alcuni, intercettò lo sguardo amichevole di Luca e Paolo, i figli dell’ingegnere italiano. Per la verità il sorriso di Paolo, il maggiore, era un po’ freddo, e sembrava che avesse una gran fretta di riunirsi ai suoi amici. Le rivolse un paio di frasi educate e la liquidò con un “ci si vede in giro”. Luca invece, fu molto più cordiale, chiacchierò con lei fino al suono della campana e le presentò tutti i ragazzi e le ragazze che si fermavano a salutarlo.
Il primo giorno fu un turbine di incontri e di nozioni, e alla sera era stanca e confusa, ma dal giorno successivo cominciò ad osservare i comportamenti degli altri verso di lei. Era come se si formassero due fazioni, una favorevole ed una contraria, non a lei, come persona, ma a quel suo velo e alle maniche lunghe, ai pantaloni coprenti e a quello che tutto ciò rappresentava: in definitiva alla sua cultura ed alle sue tradizioni. Forse per reazione, quel velo che aveva accettato con tanta leggerezza diventò la sua bandiera. Le pesava come se fosse di metallo, ma non lo avrebbe abbandonato per i pregiudizi degli altri. Anche i due fratelli italiani si erano schierati: Paolo la ignorava completamente, tutto preso dalla sua ragazza, una francesina bionda e frizzante, con la quale bisbigliava tutto il tempo. In particolare, quando Farah passava i bisbigli diventavano risatine di scherno.
Luca era invariabilmente gentile, cordiale e semplice come il primo giorno, e così i suoi amici, e si limitava a guardare con aria di rimprovero il fratello. Ma erano soprattutto le ragazze che sembravano dare una grande importanza a quel velo. Se ne uscivano con domande curiose ed anche un po’ impertinenti del tipo: “ se vai ad una festa hai il velo da sera?”, oppure “ ma che ti metti al mare?”.
Sembravano disturbate ed indispettite per la scarsa importanza che Farah dava alla questione, come se per loro fosse scontato che una ragazza carina dovesse desiderare per forza di mettersi in mostra il più possibile. Per loro quel velo sarebbe stato un peso insopportabile, e le mandava in bestia che per Farah non lo fosse. I maschi, con la semplicità che contraddistingue l’età, avevano accettato la situazione con molta più naturalezza, anche seguendo l’esempio di Luca.
Il tempo passava e con l’aumentare delle amicizie e conoscenze di Farah, si faceva più evidente il contrasto con coloro che invece la guardavano con aria di disprezzo, che ne prendevano le distanze e che la ponevano al centro di scherzi e battute per sottolineare la sua differenza da tutti gli altri. Soprattutto due ragazze della sua classe avevano questo atteggiamento: erano molto carine, vestite sempre con qualcosa di nuovo e firmato, e molto popolari ed ammirate dalla maggior pare dei ragazzi della scuola. Queste non avevano cercato minimamente di fare amicizia con Farah, o aiutarla ad inserirsi nel miglior modo nella classe. L’avevano bollata come una “sfigata” e non perdevano occasione per ridere di lei e commentare continuamente i suoi atteggiamenti ed il suo vestiario, quindi anche il suo velo.
Iniziarono le prime feste e Farah venne invitata ad alcune. Era semplice e simpatica, accettava con gioia e partecipava con entusiasmo, dimostrando che il velo non nascondeva un carattere chiuso o mogio, ma incorniciava una personalità aperta e allegra.
Arrivò infine il turno della festa delle sue due compagne di classe che la prendevano tanto in giro. Queste ovviamente non la invitarono, ma si fecero premura di esporle i motivi.
A ricreazione Farah era seduta sul muretto del cortile in mezzo a due sue compagne di classe, incluse nell’invito e un po’ indignate della scortesia che evidentemente toccava alla loro amica.
Le due festeggiate si avvicinarono alla ragazza e con tono supponente e quasi di presa in giro cominciarono a dirle che loro non l’avevano voluta invitare per non provocarle imbarazzo, e perché, a causa del suo vestiario, sarebbe comunque apparsa molto diversa da tutti gli altri invitati, e loro gente così alla loro festa non la volevano.
Le due amiche di Farah, e Farah stessa, rimasero senza parole, impietrite. Subito dopo, nel silenzio stupito delle sue compagne, Farah abbassò la testa, non come una sconfitta, ma come se stesse cercando dentro di lei la forza per ritrovare la calma e superare la mortificazione. Al di sopra della suo capo, le due compagne si guardarono in modo espressivo, sgranando gli occhi.
Nel pomeriggio ci fu un gran fermento di comunicazioni tra le ragazze della classe. Molte ribollivano di rabbia, di fronte ad un comportamento così inqualificabile. Come potevano due ragazze che avevano girato il mondo insieme ai loro internazionalissimi genitori, che conoscevano paesi e culture diverse, accanirsi su una loro coetanea, che avrebbe dovuto aspettarsi al contrario ospitalità e solidarietà! Neanche venissero da un paesino di provincia, dove la gente mormora anche solo se cambi pettinatura!
Ci voleva una contromossa ed i potenti mezzi telematici a disposizione delle giovani leve resero il passaparola istantaneo.
Il giorno dopo era una soleggiata e mite mattina di novembre, ma sembrava che tutte avessero un gran freddo: quasi tutte le ragazze indossavano una di quelle sciarpe di velo o di maglia leggera che vanno di moda.
A ricreazione fu affrontato nuovamente l’argomento festa. Le due organizzatrici si scambiavano urletti di entusiasmo con le loro fedelissime, mentre si raccontavano gli abiti e gli accessori che avrebbero comprato ed indossato per l’occasione. Ad un certo punto si avvicinò un gruppo capeggiato dalle due amiche di Farah che la mattina precedente erano state testimoni della scena: dissero che se quello che avevano sentito era veramente quello che pensavano neanche loro avrebbero partecipato alla festa di due persone così. Le ragazze riunite intorno annuivano energicamente, commentando a bassa voce.
Mentre le “fashion girls” ammutolivano, incerte se si trattasse di uno scherzo, le “dissidenti” sciolsero le sciarpe e con esse si coprirono i capelli, e lo stesso fecero quasi tutte le ragazze riunite nel cortile, che in un istante fu pieno di teste velate.
I maschi, dal campetto confinante, sottolinearono la scena con fischi di approvazione, ma, si sa, per loro c’è sempre una buona scusa per fare confusione.
Solo Farah rimase seduta sullo stesso muretto del giorno prima, silenziosa e sorpresa, guardandosi intorno.
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