Introduzione
Il libro dell'Esodo ci ha presentato una serie di figure femminili molto positive e tutte a loro modo determinati per la storia di Israele. Abbiamo già osservato come si tratti di un dato in forte controtendenza rispetto alla situazione socio-culturale del tempo, in particolare per quel che riguarda la condizione femminile. Oggi prendiamo in considerazione due donne che rientrano pienamente in questo
filone, perché diventano vere e proprie protagoniste, al punto che due libri della Scrittura sono dedicati interamente alla loro storia: Ester e Giuditta. Prima di considerare una alla volta queste due figure, diamo uno sguardo più generale
ai testi biblici intitolati a donne e alla situazione storica in cui la storia di questi personaggi si inserisce.
1. Donne protagoniste della storia sacra
Sono tre i libri della bibbia ebraica intitolati a donne: Ester, Giuditta e Rut.
Quest'ultimo, Rt, ha una collocazione particolare, sia nell'ordine dei testi tramandatoci dalla traduzione detta dei LXX, sia nella liturgia ebraica per le feste. Torneremo su questo testo in una delle prossime schede. Tra breve diremo qualcosa di più di Gdt e Est. Ma qui ci interessa sottolineare la particolarità di intitolare testi sacri a figure
femminili. In effetti le tre donne sono le rispettive protagoniste delle storie narrate; ma ciò che colpisce, ancora una volta, è il valore attribuito a queste figure all'interno della storia dell'alleanza tra Dio ed il suo popolo. È bene dire subito che non si può fare un discorso generale, che valga per tutti e tre i testi. Infatti, oltre alla loro dubbia storicità, resta il punto interrogativo relativo al fatto che tutte e tre le donne possano
essere considerate come figure femminili in senso proprio o piuttosto come personaggi simbolici in cui si debba leggere più ampiamente una raffigurazione dell'intero popolo. Quest'ultimo, come vedremo, è quasi certamente il caso di Giuditta, il cui nome significa “la Giudea”. Ester e Rut sono invece donne reali, che vivono la loro storia in circostanze totalmente differenti,
poiché la prima è una donna ebrea bella, che proprio per la sua bellezza si trova
a vivere in una situazione completamente diversa da quella del suo popolo, oppresso.
Rut è invece una donna straniera, che è quindi in se stessa immagine di una
debolezza estrema, che non le impedirà però di trovare pieno riscatto.
L'elemento “debolezza” è proprio l'unico comune denominatore di queste come di tante altre donne che diventano protagoniste positive di racconti biblici. Il fatto che Dio si serva di loro per portare avanti il suo piano d'amore, la sua alleanza con Israele, ha fondamentalmente proprio questo significato: non importa chi sei, se ti fidi di Dio, egli può fare di te uno strumento potente ed efficace, dentro le vicende del suo
popolo, per mostrare a tutti la sua fedeltà, la forza della sua presenza. Ecco perché è particolarmente importante che vi siano donne protagoniste:
esse incarnato a tutti gli effetti quegli ultimi che sono i prediletti di Dio da
esse non hanno altri mezzi che la potenza di Dio, del quale accettano di essere
strumento. Ed è attraverso l'intervento divino, che si esplica nel loro coraggio,
nella loro umiltà, nel loro pieno affidarsi al Signore, che Israele realizza ogni volta come Dio è presente ed è fedele.
2. Il libro di Giuditta
Il libro di Giuditta è definito deuterocanonico, cioè riconosciuto come ispirato solo dalla tradizione ebraica di lingua greca; è entrato nel canone degli Alessandrini ed è stato accolto dalla tradizione cristiana, ma dal mondo ebraico di lingua ebraica è stato rifiutato perché non scritto in lingua ebraica e difatti è conservato solo il testo greco.
Questo testo nel suo originale ebraico è dunque andato perduto. Ne esistono poi tre differenti versioni in lingua greca, mentre la Vulgata (la traduzione latina fatta da s. Girolamo) presenta un testo ancora diverso, che proviene forse da una parafrasi aramaica preesistente.
Questo è il motivo per cui anche nelle nostre bibbie oggi sono ripartate una accanto all'altra numerazioni diverse. Non credo sia opportuno dilungarsi più di tanto sulle differenti versioni esistenti, anche perché il fatto di non essere più in possesso dei testi originali rende difficile da provare ogni ricostruzione possibile.
Il Libro di Giuditta è inserito nella nostra bibbia dopo quello di Tobia e prima di quello di Ester. Solitamente questi testi sono parte degli scritti detti “storici”, anche se dobbiamo sempre tenere presente l'idea di storicità del mondo antico, che non ha niente a che vedere con la concezione di storia che abbiamo noi oggi, di stampo post illuministico e positivista. Gdt in particolare non è un libro storico! È piuttosto un'opera letteraria, il cui significato è prima di tutto simbolico, metaforico.
Lo possiamo affermare con certezza, osservando che i riferimenti storici e geografici sono assolutamente fantasiosi; anzi, l'impressione è proprio quella di distorsioni evidenti rispetto alla storia, da parte dell'autore, proprio per dare alla narrazione un altro senso: il piccolo popolo d'Israele si scontra con la potenza del male e prevale perché Dio lo accompagna.
Betulia, la città in cui si svolge il racconto, è un nome coniato con la fusione di
due termini: Betullà, che significa "vergine", e Yah, che è l’abbreviazione di Yahweh, quindi è "la vergine del Signore"; "vergine, figlia di Sion" è un’immagine degli antichi profeti e quindi il nome della città è simbolicamente
"la città sposa del Signore", una città idealizzata che rappresenta ogni città di Israele.
Il nemico è un generale di nome Oloferne, capo dell’esercito di Nabucodonosor,
re degli Assiri; si tratta in realtà di tre dati storicamente non congruenti: Oloferne è un generale persiano, Nabucodonosor è re dei Babilonesi e non ha
nulla a che fare con gli Assiri; per cui vengono messi insieme tre ambiti nazionali differenti. Queste incongruenze sono talmente macroscopiche che, come abbiamo già osservato, sono evidentemente volute dall’autore; dato che
si tratta di una novella, il nostro testo non è tenuto a riprodurre un fatto storico, ma, mettendo insieme un generale persiano con un re babilonese ed evocando l’impero degli Assiri, accomuna tutti i nemici storici di Israele.
Come nei libri dei Maccabei, anche in Gdt troviamo al centro l'esaltazione della
resistenza di fronte al dilagare del paganesimo greco: le tradizioni religiose del popolo eletto danno la forza di opporvisi, perché, prima di tutto,
Dio è fedele all'alleanza ed è pronto ad intervenire direttamente per liberare Israele.
Il libro fu probabilmente composto in Palestina intorno alla metà del II secolo a.C., in
un clima di particolare fervore nazionalistico e religioso, a seguito della rivolta dei Maccabei. La narrazione è composta di due quadri principali:
nel primo è presentata la situazione di oppressione tremenda, nella quale il
popolo ridotto ai minimi termini è travolto, schiacciato dall'enorme potenza del nemico invasore;
nel secondo, la situazione si ribalta, per l'emergere del coraggio di una donna
giudea, che incarna i valori che permettono al popolo di resistere al male nemico: la fede, la saggezza, il coraggio della resistenza.
Ci sono testi precedenti, nella Scrittura, che in questo libro sono richiamati, quasi uno sfondo di riferimento per l’autore.
Una donna, Giaele, un personaggio arcaico e poco noto del libro dei Giudici, inserito nella storia di Debora, profetessa che ispira, anima e guida una
Il generale cananeo Sisara, fuggendo, chiede ospitalità nella tenda di Giaele che
finge di accoglierlo, ma quando si è addormentato, convinto di essere al sicuro, Giaele prende il paletto della tenda e glielo pianta nella tempia inchiodandolo per terra.
L’esercito che insegue trova così il generale nemico già ucciso per mano di una
donna; non hanno quindi avuto l’onore di prendere il nemico, che è stato invece eliminato per mano di una donna disarmata.
Un altro elemento antico che ha ispirato il racconto di Giuditta è l’episodio di Davide e Golia, molto più conosciuto del precedente.
L’autore del libro di Giuditta è partito da queste due immagini:
Giaele, che ha ucciso il generale avversario; il giovane Davide, che ha tagliato la testa a Golia con la sua stessa spada.
Queste sono le due immagini che hanno determinato la storia e il nostro autore crea
una storia molto semplice, con un intento fortemente didattico, partendo appunto da questi due episodi.
3. Giuditta: invito al coraggio!
Giuditta è una donna tutta particolare perché – caso abbastanza eccezionale – è una combattente, un’eroina, una donna di guerra, l’immagine cioè della debolezza che diventa forza: è colei che si espone direttamente ed ha il coraggio di scendere in battaglia.
La narrazione si snoda lungo 16 capitoli, per raccontare una storia che si potrebbe sintetizzare in spazi molto più ridotti. In particolare, la prima parte, che inquadra gli eventi, è molto ridondante, anche se serve a creare il contesto in cui poi sarà inserita
la nostra eroina. - Si parla di Nabucodonosor animato da propositi di vendetta verso i popoli occidentali che non l’hanno sostenuto nella sua guerra contro i Medi; - Oloferne è il generale incaricato di portare avanti questa missione. Un popolo dietro l’altro, il testo ci presenta una veloce carrellata delle conquiste di Oloferne: il potere umano che questi rappresenta è assolutizzato, si eleva a livello divino; la prepotenza politica con le sue conquiste diventa un problema religioso, mira a sostituirsi a Dio. La minaccia raggiunge Gerusalemme. Ma qui la narrazione delle veloci conquiste di Oloferne è sospesa, per presentarci un personaggio importante ai fini della vicenda:
- Achior, il cui nome significa “fratello della luce”, uno dei generali che collaborano con Oloferne in questa campagna, è il tipo dello straniero proselita, cioè aperto alla fede nel Dio d’Israele, pronto a diventare credente, ad entrare nelle tradizioni religiose di questo popolo, con fede. È lui che racconta la storia d’Israele a tutto il comando dell’esercito, radunato da Oloferne per definire come muoversi per la conquista di
Siamo nel cap. 5; - Achior racconta una storia sacra, partendo da Abramo, con un contenuto fortemente teologico: Israele è stato peccatore, nella sua storia ha tradito la fedeltà a Dio, ma questo è un momento buono – dice Achior a Oloferne –
perché Israele attualmente è fedele, osserva la legge e non è idolatra, quindi è estremamente difficile conquistarlo ed è sconsigliabile attaccare battaglia perché Israele ha dalla sua un Dio molto potente; se non è Dio stesso a decidere di punirlo nessuno è in grado di vincerlo. - A sentire ciò, gli altri generali ridono in faccia ad Achior, lo insultano e
Oloferne si infuria chiedendo con veemenza come possa Achior dire a lui, grande generale di tutto l’esercito assiro, che un popolo insignificante come quello dei Giudei può resistergli: non c’è popolo né dio che possa resistere alla potenza dell’esercito di Oloferne. Achior viene quindi legato, buttato fuori dell’accampamento e mandato come prigioniero a Betulia, mentre Oloferne,
profferite le minacce di sterminio di tutto il popolo di Israele, aggiunge rivolto ad Achior: "Allora il ferro dei miei soldati e la numerosa schiera dei miei ministri trapasserà i tuoi fianchi e tu cadrai fra i loro cadaveri, quando io tornerò a vederti" (Gdt 6,6). Sarà allora dimostrata la potenza incontenibile dell’esercito di Oloferne.
- Achior viene raccolto dagli abitanti di Betulia, che lo prendono come ostaggio e lo tengono in città, venendo così a conoscere le intenzioni di Oloferne e sprofondando nel terrore più totale. Si fa strada la convinzione che non sarà possibile resistere e difendersi davanti al numero ed alla potenza dell’esercito
nemico e hanno sempre più voglia di arrendersi; - il popolo dispera quindi della salvezza. - Anche i capi ed il sommo sacerdote non hanno coraggio e si limitano a ritardare la resa: chiedono al popolo di pregare e di fare penitenza ancora per cinque giorni. Metteranno così alla prova il Signore chiedendogli di intervenire, ma se entro cinque giorni non si sarà manifestato non resterà altra soluzione
Ed ecco che, in risposta a questa attesa del popolo, all’8° capitolo entra in scena la protagonista Giuditta:
1 In quei giorni Giuditta venne a conoscenza di questi fatti. […]2Suo marito era stato Manasse, della stessa tribù e famiglia di lei; egli era morto al tempo della mietitura dell'orzo. 3Mentre stava sorvegliando quelli che legavano i covoni nella campagna, fu colpito da insolazione. Dovette mettersi a letto e morì a Betùlia, sua città, e lo seppellirono insieme ai suoi padri nel campo che sta tra Dotàim e Balamòn. 4Giuditta era rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già tre anni e quattro mesi. 5Si era fatta preparare una tenda sul terrazzo della sua casa, si era cinta i fianchi di sacco e portava le vesti della sua vedovanza. 6Da quando era vedova digiunava tutti i giorni, eccetto le vigilie dei sabati e i sabati, le vigilie dei noviluni e i noviluni, le feste e i giorni di gioia per Israele. 7Era bella d'aspetto e molto avvenente nella persona; inoltre suo marito Manasse le aveva lasciato oro e argento, schiavi e schiave, armenti e terreni che ora continuava ad amministrare. 8Né alcuno poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché 9Venne dunque a conoscenza delle parole esasperate che il popolo aveva rivolto al capo della città, perché erano demoralizzati a causa della mancanza d'acqua, e Giuditta seppe anche di tutte le risposte che aveva dato loro Ozia e come avesse giurato loro di consegnare la città agli Assiri dopo cinque giorni. 10Subito mandò la sua ancella che aveva in cura tutte le sue sostanze a chiamare Cabrì e Carmì, che erano gli anziani della sua città. 11Vennero da lei ed ella disse loro: "Ascoltatemi, capi dei cittadini di Betùlia. Non è un discorso giusto quello che oggi avete tenuto al popolo, e quel giuramento che avete pronunciato e interposto tra voi e Dio, di mettere la città in mano ai nostri nemici, se nel frattempo il Signore non verrà in vostro aiuto. 12Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo ai figli degli uomini? 13Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non comprenderete niente, né ora né mai. 14Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell'uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non provocate l'ira del Signore, nostro Dio. 15Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere dai nostri nemici. 16E voi non pretendete di ipotecare i piani del Signore, nostro Dio, perché Dio non è come un uomo a cui si possano fare minacce, né un figlio d'uomo su cui si possano esercitare pressioni. 17Perciò attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e ascolterà il nostro grido, se a lui piacerà”. Il discorso di Giuditta continua, arrivando alla stessa conclusione di Achior: se il popolo sarà fedele al Signore, non avrà nulla da temere. Tutto questo discorso ha un valore esortativo: non vuole rimproverare il popolo peccatore, ma sostenerlo e
incoraggiarlo, perché di fronte al nemico, nonostante l’evidente debolezza ed inferiorità, il Signore resta fedele e non farà mancare il suo sostegno.
Poi Giuditta, sempre parlando alle autorità, svolge un argomento molto interessante circa la prova, con un contenuto ed un linguaggio che costituiscono un piccolo trattato di teologia, esposto da una donna che dimostra di sapere molto più di tutti gli altri
autorevoli personaggi maschili di Gerusalemme. Ella invita a non lamentarsi se le cose vanno male; anzi, dice:
25”Ringraziamo il Signore, nostro Dio, che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri. 26Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe in Mesopotamia di Siria, quando pascolava le greggi di Làbano, suo zio materno. 27Certo, come ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore, così ora non vuol fare vendetta di noi, ma è a scopo di correzione che il Signore castiga quelli che gli stanno vicino".
In altre parole: ringraziamo il Signore, che ci mette alla prova, perché è una prova pedagogica. Attraverso questa sofferenza sperimenteremo la fedeltà di Dio e, come i patriarchi, la nostra fede si rinvigorirà. Dopo l’aspetto teorico, Giuditta passa all’aspetto pratico e sollecita a fidarsi di lei, che
si assume la responsabilità del combattimento: lei stessa, con la sua sola ancella, uscirà in campo e provvederà alla battaglia. I capi non riescono a capire cosa voglia fare e lei invita a non chiederle niente, a fidarsi, promettendo che riferirà tutto al suo ritorno; non avendo nessun’altra possibilità, la lasciano quindi andare. Giuditta rivolge una lunga preghiera al Signore rinnovando l’atto di piena fiducia in lui ed esce da
Betulia. A questo punto il narratore, con finezza, si diverte, ma nello stesso tempo si diverte Giuditta; il racconto prosegue con un’ironia splendida, da questo momento in poi Giuditta mente, si comporta da grande imbrogliona. Siamo al capitolo 10.
1Quando Giuditta ebbe cessato di supplicare il Dio d'Israele ed ebbe terminato di pronunciare tutte queste parole, 2si alzò da terra, chiamò la sua ancella e scese nella casa dove usava passare i giorni dei sabati e le feste. 3Qui si tolse il cilicio di cui era rivestita, depose le vesti della sua vedovanza, si lavò il corpo con acqua e lo unse con profumo denso; spartì i capelli del capo e vi impose il diadema. Poi indossò gli abiti da festa, che aveva usato quando era vivo suo marito Manasse. 4Si mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto bella, tanto da sedurre qualunque uomo l'avesse vista.
Fatto questo, parte proprio con l’atteggiamento della seduttrice, ma finge; l’ironia sta nel prendere in giro questi cascamorto di uomini, questi grandi generali che, di fronte alla provocazione di una donna bella e apparentemente disponibile, non capiscono più niente e "perdono la testa": Oloferne, con la sua pretesa invincibilità, perderà,
letteralmente, la testa per mano di questa donna. Tutto questo è presentato come un santo imbroglio: quell’uomo, che si credeva un gigante, ma era meglio di tanti altri, farà proprio la fine dello stupido. - Giuditta scende da Betulla e tutti i soldati che la vedono passare le chiedono chi sia e dove stia andando e la sua risposta è per loro rassicurante: visto che la sua città, davanti allo strapotere di Oloferne, è certamente perduta, lei non vuole morire con i
suoi, ma preferisce passare dalla parte del più forte! Naturalmente il fascino di
Giuditta, che è sostenuto dalla convinzione di essere “in missione per conto di Dio”, è irresistibile, prima per i soldati, poi per il “grande” Oloferne. Approfittando di questo successo, Giuditta chiede e ottiene con grande astuzia una serie di privilegi personali,
tra i quali una tenda per sé e la sua ancella e la possibilità di uscire la sera per la preghiera. Promette perfino di pregare per Oloferne! Dopo tre giorni, Oloferne decide che quella donna deve dargli qualcosa in cambio e prova a sedurla, facendola entrare per la cena nella sua tenda. - Giuditta finge allora piena disponibilità, ma fa in modo che Oloferne si ubriachi così
tanto da cadere addormentato proprio quando resta solo con Giuditta. Ella allora prontamente, con la scimitarra dello stesso generale, lo uccide decapitandolo ed esce poi con l’ancella per la consueta preghiera serale, portando con sé nella bisaccia dei viveri la testa di Oloferne. Le due in realtà si dileguano abilmente e tornano trionfanti a Betulia. A questo punto, Achior non può fare altro che riconoscere che aveva ragione e diventa
ebreo. Il popolo e le autorità all’interno di Betulia acclamano Giuditta come l’eroina che ha vinto; quando mostra, come trofeo, la testa di Oloferne le dicono, con parole che in qualche misura ci sono certamente familiari:
"Benedetta sei tu, figlia, davanti al Dio altissimo più di tutte le donne che vivono sulla terra e benedetto il Signore Dio che ha creato il cielo e la terra e ti ha guidato a troncare la testa del capo dei nostri nemici. Davvero il coraggio che ti ha sostenuto non cadrà dal cuore degli uomini, che ricorderanno per sempre la potenza di Dio" (Gdt 13,18-19).
Subito il popolo attacca l’esercito che lo assedia e questo, scoprendo che Oloferne è morto, preso dal panico, fugge, ma viene raggiunto, battuto e depredato. La guerra finisce, l’esercito che era ritenuto invincibile è stato annientato, il popolo torna in Betulia e la trionfante Giuditta celebra la propria vittoria nella debolezza senza armi,
avendo usato solo la scimitarra del nemico. Il sommo sacerdote e il consiglio degli anziani di Israele, una volta entrati nella casa di Giuditta per renderle omaggio, le dicono: "Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto di Israele, tu splendido onore della nostra gente" (Gdt 15,9b). Queste espressioni ci sono familiari, perché fanno venire in mente il canto mariano "Tota pulchra es Maria, … Tu laetitia Israël, tu honorificentia populi nostri".
Quindi proseguono dicendo: "Tutto questo hai compiuto con la tua mano, egregie cose hai operato per Israele, di esse Dio si è compiaciuto. Sii sempre benedetta dall’onnipotente Signore”. E il popolo si unisce a questo ringraziamento, suggellando la propria adesione con l’amen (Gdt 15,10).
Questa storia è stata riletta nella tradizione cristiana e applicata proprio a Maria, la benedetta fra tutte le donne, colei che con la sua adesione confidente alla volontà di Dio ha permesso la completa vittoria sul nemico, immagine della debolezza, della persona inerme, della persona di fede che affronta ogni prova con il cuore lieto e
riconoscente. Giuditta, la giudea, diventa l’immagine del popolo fedele che si fida di Dio; l’immagine è violenta per il nostro modo di pensare, ma non dimentichiamo che nasce in un momento di guerra partigiana quando c’è il desiderio e la necessità di combattere col nemico. Noi dobbiamo leggere questi testi purificandoli, superando l’immagine della violenza e
riconoscendo il messaggio teologico e simbolico che vi è sotteso: è appunto l’immagine di un Dio "che depone i potenti dai troni ed innalza gli umili". In Giuditta si
rivela quello stile povero e semplice di Dio e per questo è un anticipo della figura di Maria, e Maria è l’autentica Giuditta, è colei che ha condotto il combattimento: insieme con il Cristo ha vinto il potere del male, è la figura della donna eroica, è
l’antenata di tutte quelle altre donne che nella loro vita hanno combattuto contro qualcosa di male e che, con la debolezza, con la semplicità e con la loro fiducia inerme hanno trionfato. 4. Il libro di Ester
Il libro di Ester, come quello di Giuditta, racconta di una liberazione del popolo eletto per mezzo di una donna. Anche in questo caso, pur essendo il quadro storico un pochino più attendibile, meglio definito, rispetto al libro precedente, l'intento dell'autore è principalmente simbolico.
Resta come tratto caratteristico l'enfasi del racconto, l'esagerazione sulla situazione di oppressione a cui il popolo è sottoposto. Vi è ad esempio nel testo la citazione di un editto che comandava lo sterminio dei giudei, mentre la storia riporta invece un atteggiamento molto tollerante verso gli Ebrei da parte degli Achemenidi. Così come pare impossibile che il governatore-tiranno faccia sterminare 75.000 sudditi persiani,
oltre tutto senza che questi oppongano la benché minima resistenza! Le cronache del tempo, oltre a non riportare questi fatti, non recano traccia di Vasti, moglie di Assuero (Serse), né tanto meno della bella Ester. Il racconto, letterariamente molto valido, è ambientato nel periodo in cui la Persia dominava il Vicino Oriente. Con questo testo si è forse voluto dare un significato
religioso alla tradizionale festa dei Purim, in origine festa della primavera. La composizione risale al periodo a cavallo tra il III ed il II secolo a. C., quando le comunità disperse possono trarre da testi come questo l'incoraggiamento necessario per resistere nella prova dell'oppressione e ricordare che Dio non si dimentica. È il tema biblico tipico del rovesciamento: il termine Purim è il plurale di pur, parola di origine persiana, quindi non ebraica strettamente, ma entrata nel linguaggio, forse, ai
tempi dell’esilio; il suo significato è "sorte", nel senso di "sorteggio", ed il plurale indica "le sorti", in espressioni come "gettare le sorti" o "tirare a sorte". L’idea teologica è infatti proprio quella del capovolgimento della situazione; infatti, la storia narra un fatto in cui le sorti sono capovolte: chi perdeva all’inizio, alla fine vince e viceversa. La storia è ambientata nella città di Susa - una delle grandi capitali del mondo persiano – ed alla corte del re Assuero. Una delle date che troviamo nel libro di Ester coincide proprio con il 480 a.C., l’anno della battaglia delle Termopili, di cui il re Serse fu il trionfatore. Ma, come detto, anche il libro di Ester non è un racconto storico, bensì un romanzo, un midrash, con scopo didattico; è una vicenda inserita in un contesto
storico preciso, ma non è un fatto storico in sé e si riscontrano diverse incongruenze, forse volute, anche se non così numerose come nel libro di Giuditta. Questa caratteristica non costituisce problema alcuno, dato che il libro di Ester non va letto come se descrivesse un intervento salvifico decisivo su cui si fondi la nostra fede: è un bel racconto con un suo insegnamento morale ed è stato scritto da un abile narratore
con un intento educativo e formativo. Anche se non storico, il racconto è vero, perché comunica un messaggio vero, una verità importante per la fede. La storia di Ester è simile a quella dell’Esodo, è una storia di liberazione del popolo, una specie di midrash sull’Esodo.
Midrash significa "ricerca": si tratta di una storia utilizzata dai rabbini per illustrare il senso di una racconto o di una prescrizione della Legge attraverso
un altro racconto. Il libro di Ester è dunque una ricerca narrativa per aiutare a comprendere il senso teologico del libro dell’Esodo.
Come abbiamo illustrato nell’incontro precedente, il libro dell’Esodo narra la storia del popolo di Israele in Egitto, prigioniero, sfruttato, oppresso, ma poi liberato dal Signore mediante un intervento straordinario, pasquale, a seguito del quale coloro che erano oppressi ridiventano liberi e possono rientrare nella loro terra. La festa di Purim, che è tardiva e non antica come la Pasqua, è legata tuttavia alla celebrazione pasquale:
esattamente un mese prima della Pasqua, durante l’ultimo mese dell’anno, si anticipa ciò che sarà la Pasqua o, se si vuole, si conclude l’anno con una tematica pasquale; si tratta di un altro esempio di come il Signore, nel corso della storia, libera il suo popolo e, nel caso del libro di Ester, la protagonista è una donna ebrea di umili origini, ma molto bella, grazie alla quale avviene la liberazione. Il suo nome, il cui significato è “stella”, anch’esso di origine persiana, richiama quello di una divinità (lo stesso per il
nome dello zio Mardocheo, derivato dal dio Marduk, grande divinità del popolo babilonese).
5. Ester, la libertà della fede
Entriamo quindi nel racconto che, come detto, si svolge intorno al 480 a.C. nella grande città di Susa; ci troviamo alla corte del re Assuero e il libro ci introduce subito in un banchetto, in una grande festa. Sembra quasi che il narratore si diverta ad introdurre il lettore in questo ambiente
favoloso, con un arredo spettacolare. Fra tutte le donne dell’harem di Assuero, la regina Vasti era la più bella e il re la mostrava come la cosa più bella del suo palazzo. Ma in quell’occasione la regina rifiuto di presentarsi al banchetto (Est 1,12). Tutto l'enorme potere del re di Persia veniva così messo in discussione da una donna! Evidentemente la regina godeva di una certa indipendenza; considerando che il re ed i commensali erano ubriachi, ella, mostrando un certo carattere, in rapporto alla
condizione femminile del tempo, rifiuta di andare a far mostra di sé; ma ciò le costerà caro. Infatti, il re raduna il suo Consiglio e chiede un parere; tutti gli uomini del Consiglio sentenziano che quel pubblico affronto va seriamente punito, per evitare un pericoloso precedente: che cosa sarebbe successo se tutte le moglie avessero deciso di seguire
l’esempio della regina? E se il re avesse deciso di non punirla, avrebbe impedito ai mariti di fare lo stesso! Così il re manda lettere per tutto il regno, perché l’uomo sia riconosciuto dalla moglie come l’unico con il potere di decidere in casa proprio (Est 1,21-22). Il racconto ha un tono scherzoso e molte venature ironiche: il grande re di Persia occupa tutta la sua imperiale cancelleria per un decreto di questo genere, che
fa tradurre in tutte le lingue del mondo! È chiara la critica che l’autore vuol fare e questa non può sfuggire al lettore attento. Ma anche attraverso atti del genere passa la storia della salvezza. Il re infatti decide di scegliere un’altra donna per sostituire Vasti.
2Dissero allora i servi del re: "Si cerchino per il re fanciulle incorrotte e belle. 3E in tutte le province del suo regno il re dia incarico ai governatori locali perché siano scelte fanciulle vergini e belle; siano portate nella città di Susa, nell'harem, e siano consegnate all'eunuco del re che è il custode delle donne e siano dati loro unguenti e ogni altra cosa necessaria, 4e la donna che piacerà al re diventi regina al posto di Vasti". La proposta piacque al re, e così si fece. 5Nella città di Susa c'era un Giudeo di nome Mardocheo, figlio di Giàiro, figlio di Simei, figlio di Kis, della tribù di Beniamino, 6il quale era stato deportato da Gerusalemme quando fu ridotta in schiavitù da Nabucodònosor, re di Babilonia. 7Egli aveva una figlia adottiva, figlia di Aminadàb, fratello di suo padre, che si chiamava Ester. Quando erano morti i suoi genitori, egli l'aveva allevata per prenderla in moglie. La fanciulla era bella d'aspetto. 8E quando il decreto del re fu pubblicato, molte fanciulle furono raccolte nella città di Susa sotto la sorveglianza di Gai; anche Ester fu condotta da Gai, custode delle donne. Il re indice quello che oggi chiameremmo un concorso di bellezza! Circa gli eunuchi, occorre notare che nel mondo orientale – in quello persiano come in quello cinese - il loro ruolo è molto importante, si tratta di segretari e comandanti delle regge ad alto
livello, responsabili di tanta amministrazione e, soprattutto, dell’harem.
9La fanciulla gli piacque e trovò grazia presso di lui, ed egli si preoccupò di darle gli unguenti e la sua porzione di cibo, oltre alle sette fanciulle assegnate a lei dalla reggia, e usò verso di lei e le sue ancelle un trattamento di favore nell'harem. 10Ester non disse nulla né del suo popolo né della sua stirpe, perché Mardocheo le aveva ordinato di non dirlo. 11Mardocheo passeggiava ogni giorno lungo il cortile dell'harem, per vedere che cosa fosse accaduto a Ester. 12Il momento di andare dal re giungeva per una fanciulla alla fine di dodici mesi, quando terminavano i giorni della preparazione. Il periodo della preparazione si svolgeva così: sei mesi per essere unta con olio di mirra e sei con spezie e unguenti femminili. 13Allora veniva introdotta dal re, e quello che chiedeva le veniva dato per portarlo con sé dall'harem alla reggia. 14Vi andava la sera e la mattina seguente passava nel secondo harem, dove Gai, l'eunuco del re, custodiva le donne; nessuna di loro poteva rientrare dal re, se non veniva chiamata per nome. 15Quando per Ester, figlia di Aminadàb, fratello del padre di Mardocheo, si compì il tempo di entrare dal re, ella nulla tralasciò di quello che le aveva ordinato l'eunuco, il custode delle donne; Ester infatti trovava grazia presso tutti quelli che la vedevano. 16Ester entrò dal re Artaserse nel dodicesimo mese, chiamato Adar, l'anno settimo del suo regno. 17Il re si innamorò di Ester: ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale. 18Poi il re fece un banchetto per tutti i suoi amici e i potenti per sette giorni, volendo solennizzare così le nozze di Ester; condonò pure i debiti a tutti quelli che erano sotto il suo dominio.
Ester dunque fa carriera, per la sua bellezza e per l’immediata simpatia che suscita
(dobbiamo forse riconoscere in questa il segno della presenza del favore divino), ma nessuno sa che è ebrea. Al palazzo però presta servizio Mardocheo, una presenza apparentemente defilata, ma la cui importanza emerge quasi subito, poiché è proprio attraverso di lui che è possibile sventare un complotto di corte ai danni del re. I cospiratori, denunciati da Mardocheo, vengono riconosciuti colpevoli ed eliminati. "E la cosa fu registrata nel libro delle cronache, alla presenza del re" (Est 2,23b). Non sono
particolari insignificanti come potrebbero sembrare, se ne capirà l’importanza più avanti.
Entra in scena a questo punto un altro personaggio, Aman, nominato dal re amministratore generale del regno, con una carica che è praticamente la seconda carica per importanza dopo lo stesso re. Infatti: “Tutti i ministri del re, che stavano
alla porta del re, piegavano il ginocchio e si prostravano davanti ad Aman, perché così aveva ordinato il re a suo riguardo. Ma Mardocheo non piegava il ginocchio né si prostrava" (Est 3,2). Mardocheo era un piccolo ufficiale della corte, aveva un ruolo insignificante; ma come Giudeo poteva piegare le ginocchia solo davanti al Signore Dio di Israele.
Quando Aman lo viene a sapere, il suo odio per i Giudei giunge al punto da fargli prendere una decisione terribile: lo sterminio dell’intero popolo ebraico, decretato da un apposito decreto, una vera e propria legge razziale. Il re, per tutto il racconto raffigurato come un fantoccio privo di senno, accetta di emanare il decreto proposto dal suo vice. Si era nel mese di Nisan, il primo mese dell’anno; per il tredici del mese di Adar, il dodicesimo mese, i Giudei potevano adeguarsi alle leggi dell’impero; a
partire dal quattordici di Adar veniva data facoltà a tutti i cittadini di uccidere impunemente i Giudei, impossessandosi dei loro beni. La situazione che si era così venuta a creare era drammatica, dato che l’impero aveva una forza notevole con una struttura in grado di controllare tutto, per cui appariva ormai scontata la distruzione del popolo eletto.
A questo punto Mardocheo interviene nell’unico modo possibile, tramite la regina Ester. Ella però sapeva che a nessuno, neppure alla regina, era consentito entrare alla presenza dell’imperatore senza essere stati chiamati, pena la condanna a morte. Mardocheo allora le manda a dire: "Chissà che tu non sia stata elevata a regina proprio in previsione di una circostanza come questa?" (Est 4,14b). Il cuore del
racconto sta appunto qui, la bella favola si è trasformata in dramma ed Ester viene a trovarsi di fronte ad una scelta radicale; ed è importante il concetto della provvidenza, sottinteso nella domanda di Mardocheo, la riflessione a cui Ester viene indotta circa il ruolo della propria persona e della propria vita: forse Dio ti ha fatto arrivare dove sei perché tu, con la tua posizione, sei l’unica, a questo punto, che puoi fare qualcosa. Ester decide allora di andare dal re e chiede a Mardocheo di pregare e di digiunare insieme a lei per tre giorni; veste di sacco, fa penitenza e prega, affidandosi al Signore. Questo è un elemento interessante. Se fino a qui la presenza di Dio era stata piuttosto marginale, nel momento più drammatico troviamo due preghiere, da parte dei due protagonisti ebrei (si trovano solo nel testo greco). Il cuore della preghiera di
Ester è il riconoscimento della propria personale debolezza: “Non ho nessuno se non te ed io entro davanti al leone, fidandomi di te. Sono nelle tue mani!”. Sostenuta dalla fede, ma comunque piena di paura, Ester entra dal re e la scena che si svolge a corte è un vero e proprio inno al potere della bellezza femminile, ma insieme alla forza della fede e all’onnipotenza di Dio, che volge al bene anche il cuore
del re. Ester ottiene dal marito, oltre alla rassicurazione sulla sua personale estraneità rispetto al decreto di sterminio, di organizzare un banchetto, invitando anche Aman. Assuero promette di dare ad Ester qualunque cosa avesse chiesto, fosse stata anche la metà del regno. Il re attende dunque la richiesta di Ester e proprio la notte dopo il
banchetto, non riuscendo a dormire, si fa leggere un brano del libro delle cronache. Ecco che entra in gioco la provvidenza: il re scopre che proprio il giudeo Mardocheo gli aveva salvato, una volta, la vita. E scopre anche che a Mardocheo non era stata tributata, allora, alcuna ricompensa. La ricompensa allora se la fa suggerire proprio da Aman, che pensa di essere il destinatario di tale ricompensa… Quando scopre che
l’onore viene tributato proprio a Mardocheo, pieno di rabbia, si sfoga con i suoi ed in quel momento riceve l’invito al banchetto di Ester. Durante il banchetto, la bella regina apre finalmente il suo cuore, denunciando pubblicamente le trame di Aman.
7,6bAman fu preso da terrore in presenza del re e della regina. 7Allora il re si alzò dal banchetto per andare nel giardino: Aman si mise a supplicare la regina perché avvertiva di essere nei guai. 8Il re ritornò dal giardino, e intanto Aman si era lasciato cadere sul divano supplicando la regina. Allora il re disse: "Vuole anche fare violenza a mia moglie in casa mia?". Appena ebbe sentito, Aman mutò d'aspetto. 9Bugatàn, uno degli eunuchi, disse al re: "Ecco, Aman ha preparato anche un palo per Mardocheo, il quale aveva parlato in favore del re, un palo alto cinquanta cubiti, eretto nella proprietà di Aman". Disse il re: "Sia impiccato su quel palo". 10Allora Aman fu appeso al palo che aveva preparato per Mardocheo. E l'ira del re si placò.
A questo finale che riporta giustizia verso il popolo eletto, segue l’istituzione della
festa dei Purim, nella quale si ricorda il capovolgimento della sorte avverso per l’aiuto provvidenziale di Dio, che passa attraverso il coraggio e la fede della bella Ester. Ancora oggi, quando in sinagoga viene letto il libro di Ester, i bambini – ma anche gli adulti – intervengono con segni di approvazione o di disprezzo: quando il lettore
nomina Mardocheo o Ester i presenti applaudono, mentre quando viene nominato Aman fischiano. Si celebra quindi il giorno di Purim come una sorta di spettacolo di carnevale, con le maschere dei buoni e dei cattivi, proprio secondo lo stile del libro di Ester. Eppure, in fondo, c’è un’idea molto importante che è quella della donna che salva il suo popolo e che, per questo fine, corre il rischio di perdere la propria vita; c’è
una serie di uomini prepotenti che organizzano il male, ma la salvezza passa da una donna. Nel caso di questo libro, Ester, pur essendo regina, non aveva alcun potere, ma la sua forza è stata quella di fidarsi totalmente del Signore e a suo modo, con il suo stile favolistico e ironico, il libro di Ester ha un bel messaggio e presenta questa donna
come capace di salvezza proprio attraverso la sua femminilità, il suo cuore, il suo affetto e la sua dedizione che diviene lo strumento con cui Dio salva il popolo.
- La Parola ascoltata diventa preghiera
Abbiamo incontrato già molte donne protagoniste della storia d’Israele. La
femminilità, la bellezza che Dio ha donato a queste eroine è il segno della sua presenza nella loro vita. Tante volte oggi la bellezza è solo un connotato esteriore, magari da ricercare ossessivamente, secondo canoni imposti che snaturano l’identità della persona.
Signore, fa’ che ci riconosciamo belli della tua bellezza, che
riusciamo a vederti presente in noi, che siamo il tempio del tuo
Spirito; e fa’ che di questa bellezza, che è più forte del tempo e dei canoni determinati dalla cultura e dalla società, noi ti sappiamo dire grazie di cuore.
Giuditta è una donna non solo bella, dentro e fuori. La sua fede è incrollabile, la
sua forza è prima di tutto la fiducia nella fedeltà di Dio alle sue promesse.
Aumenta la nostra fede, Signore. Nelle prove, ma anche nei
momenti lieti, fa’ che sappiamo porre in te ogni speranza, che ricordiamo che tu ci ascolti e ci vuoi guidare sulla via della vita e dell’amore.
Anche Ester è bella, ma è apparentemente molto più fragile, quasi timorosa,
sottomessa al marito, apparentemente soddisfatta della posizione raggiunta. Ma nel momento della crisi si dimostra donna di fede, trova un insospettato
coraggio e porta il suo popolo alla salvezza.
Nella debolezza, soccorrici, Signore, perché la nostra sola forza sia
la tua forza. Donaci lo Spirito di fortezza e di Timore di Dio, perché il coraggio non venga meno nella prova e sappiamo riconoscere che sei tu che agisci, che proprio nella nostra apparente inutilità tu
sei Colui che vince e salva, servendoti anche di noi.
Mardocheo ricorda ad Ester il senso della Provvidenza: forse lei è regina proprio
per salvare il suo popolo. Ma questo sarà possibile solo se Ester lascerà che sia il Signore a mostrare la sua volontà. Se ci siamo e siamo ciò che siamo, è perché tu, Signore, vuoi servirti anche di noi, nella tua provvidenza, secondo un
disegno d’amore che ci sfugge nella sua complessità, perché tanto più grande di noi, ma nel quale sappiamo per fede di essere chiamati ad una parte attiva.
Rendici capaci di ascolto obbediente e confidente, o Padre, perché
giorno per giorno riconosciamo che siamo fatti per Te e che Tu vuoi servirti di noi, affinché attraverso noi risplenda quell’amore
che si fa dono e che conduce ogni uomo a lodarti e benedirti.
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E ES UN ACTO DE HABLA? on es significativa, no por naturaleza, sino, como hemos dicho, por con-la verdad o la falsedad, y esto no se da en todas las oraciones. Por ejemplo, unas´on, pero no es ni verdadera ni falsa. Dejemos puesde lado los otros tipos de oraciones -pues ser´ıan objeto m´emonos ahora al estudio de las proposiciones. oteles, De Interpretatione, 16 b 33, 17 a 1-7. on de