Autoedizione ristampa maggio 2011 — www.cherini.euLe notizie delle efferatezze senza eguali e delle stragiche arrivano dalla Bosnia nella guerra aperta da Serbi eCroati richiamano alla memoria luttuosi fatti avvenutianche nel passato, di cui gli “Slavi del sud” si sono piùvolte macchiati distinguendosi, quando si scatenano, persanguinarietà e crudeltà d’ogni genere e rivelando un’in-dole ferina che sembra atavica, temperata talvolta da motidi umanità che fanno confondere chi non li conosce bene.Sfogliando le pagine della nostra storia, ricordiamo unfatto riguardante il capitano Lucrezio Gravisi ed i familiariche lo accompagnavano.Nato a Capodistria, vissuto tra il 1558 e il 1613,Lucrezio Gravisi è appartenuto ad una stirpe elevata pervirtù e per opere civiche e militari e non è stato uomo dipoco conto. A 16 anni era già imbarcato sulla galera delconsanguineo Pietro Gravisi in guerra contro i Turchi; fupoi in Spagna e in Portogallo, indi presso la corte diSigismondo III, re di Polonia, che lo ebbe in grande stimacreandolo nel 1588 Cavaliere Aurato in compenso deiservigi prestati in Prussia e in Russia; ha coltivato inoltrel’amicizia dei principi polacchi Pietro, Sigismondo e Ales-sandro Mihowzky, che ebbe ospiti a Capodistria, splendi-damente accolti dalla città istriana. Re Sigismondo lo vollepoi, nel 1606, suo negoziatore in una delicata missionepresso la corte papale di Roma riscuotendone la gratitudi-ne. Incapace di starsene in ozio negli agi della sonnolentavita provinciale, Lucrezio si fece soldato di ventura a Budaassediata dai Turchi. Passò poi a guardia del castello diBrescia per conto della Repubblica Veneta tornando a casadopo un anno, ma non per rimanervi, perché dense nubistavano ammassandosi in Levante. Il Senato Veneto, in-fatti, gli affidava il comando di due compagnie di soldati,una destinata a Candia, l’altra dislocata tra Ossero eVeglia per frenare le sanguinose scorrerie dei pirati Uscoc-chi.Ed è a questo punto che viene ad inserirsi il fatto cheintendiamo ricordare secondo quanto scritto da GianfilippoSquinziani (pseudonimo di Anteo Gravisi) in un opuscolopubblicato a sue spese, dalla tipografia di Carlo Priora, nel1887, con richiami alla prima narrazione stesa da Otto-niello de Belli, nipote del sopracomito Pietro Gravisi equindi contemporaneo di Lucrezio. Esistono anche un rac-conto di don Pietro Stancovich, pubblicato nel 1829, ed ilracconto “Tragico Avvenimento” pubblicato da don AngeloMarsich sulla base del manoscritto Belli affidatogli dallafamiglia Gravisi nel 1869. Hanno ricordato l’efferato fattoanche Paolo Tedeschi, Giovanni de Madonizza e CarloCombi.
«Ecco ora la narrazione dell’orribile caso successo
allo stesso Gravisi in unione alla di lui consorte PaolaStrassoldo, friulana, al fratello Francesco, al nipote Gra-vise ed al cugino Vanto Gravisi.
Partirono questi da Arbe sulla galera del sopraco-
mito Cristoforo Venier alla volta di Zara, ma sopraffattidalla notte, convenne loro ritirarsi in un porto, chiamatoLongo, dove fecero scala ed ormeggiarono. Pochi giorniavanti un’orda di Uscocchi era stata battuta nell’isola diLesina da alcuni Albanesi, mantenuti colà dalla Repub-blica per tenere in freno la sanguinaria rapacità di que’pirati. I quali perciò, agitati da voglie più feroci, saputoche la nave comandata dal Venier trovavasi nel portoLongo, raccoltisi in buon numero, la aggredirono sul faredel giorno.
Scoperti dalle venete guardie, all’improvviso strepi-
to delle voci e degli archibusi, il capitano Lucrezio Gravisimontò sopra coperta, e, snudata la spada, incuorava tuttialla pugna; benché sapesse vana ogni resistenza controuna turba indisciplinata e brutale. Incitò poi i marinaria tagliare le corde che tenevano legata la nave; i galeottia tirarla co’ remi in alto mare, e gli altri a stersene in difeaed offesa.
Ma il sopracomito, che ignorava la sconfitta recente
toccata agli Uscocchi, persuaso di placarli con donativi,e mal fidando di potersi difendere a lungo, ordinava sideponessero le armi. Al qual ordine non voleva sottostareLucrezio Gravisi, dicendo essere ignominia lo arrendersia infami ladroni, i quali si sarebbero agevolmente postiin fuga, qualora si fosse loro mostrata la faccia. Gli replicòil sopracomito che conosceva la natura di que’ barbari, iquali di null’altro erano ingordi, che di preda, se però nonvenissero esasperati. E continuando il Gravisi con piùgagliarda eloquenza a persuaderlo del contrario, gli poseinnanzi il danno che ne sarebbe conseguito se la galeraavesse dovuto rovinare, e la disgrazia di sua Serenità seanch’egli non avesse deposte le armi. Dal che conquisoassai più che dalle scellerate minacce degli Uscocchi,vedendo gli altri prestare umile obbedienza, e dato malsuo grado l’ingresso a’ nemici, discese il Gravisi nelpozzuolo per porgere qualche parola di consolazione allainfelice consorte. Intanto gli Uscocchi s’impadronironodella galera, e tutto che fosse troppo di buon’ora, fu fattoportar loro gran copia di provvisioni e di vini.
Gli assalitori fecero a poco a poco deporre le armi a
tutti, asseverando che non potevano starsene in lietobanchettare tra gente carica di que’ brutti arnesi. Ma uncapitano d’Albania, nemico acerrimo degli Uscocchi, nonvolle deporre le armi, prima che non si fosse disfatto dialcuno di essi. Così pure volle fare l’alfiere Vanto Gravisi,cugino di Lucrezio. Quando uno degli Uscocchi, nonpotendo più reprimere l’odio concetto per i Veneziani,furiosamente lo aggredì alle spalle, e con un colpo sologli troncò la vita. Il che vedendo Francesco Gravisi, di luicugino, disperato, gridando al fellone, al vile assassino,gli si avventò contro con isforzo sì stupendo che due
Uscocchi precipitarono nelle onde; per cui quelli arrab-biati gli si scagliarono addosso e lo fecero a pezzi.
Intanto molti altri Uscocchi recaronsi dal capitano
Lucrezio, e gli annunziarono ch’era atteso sopra copertaper fare un “prindese” a’ suoi commilitoni. Il Gravisi liaccolse con amorevolezza, regalandoli di vettovaglie e divini, che aveva seco portati pel viaggio. Dopo aver divoratoe tracannato, e ricevuti anche doni di vestimenti, gliUscocchi lo invitarono a salire col nipote, ma tutti duesenz’armi. Cedettero i Gravisi, fatti ahi! troppo securidella loro subdola amicizia. Saliti in coperta videro ilsangue dei loro grondante per varie parti della galèra, nèpiù scorsero Francesco e Vanto Gravisi. Fu colpito inoltreLucrezio dal triste atteggiamento del sopracomito, a cuileggevasi in viso la costernazione del miserando casotoccato a’ suoi, per cui accostandolo gli disse: “Ah! fui benio presago nè creduto nè ascoltato!”… Quindi ad uncenno degli Uscocchi dovette scendere in una fusta colnipote, la cui salvezza gli era cara assai più della propria. Per lo che volto a coloro che giudicava essere i capi:“Salvate — disse — la vita a questo sedicenne giovinetto!”“Siamo informati — gli fu risposto — che voi siete capitanidel principe di Venezia; col sangue vostro, dovete scon-tare il sangue de’ nostri”. In pari tempo uno degli Uscoc-chi con inaudita ferocia si precipitò sopra lo sventuratogiovinetto che stava a prora; ma avendo egli per istintoirresistibile sovrapposto il braccio alla testa, questo gli fudi netto spiccato; sebbene lo zio subito al primo colpofosse corso ad ajutarlo, mosso più da un sentimento dinaturale ribrezzo che dalla lusinga di salvarlo. Frattantoun altro Uscocco, sorpreso il capitano Lucrezio alle spal-le, con una mazza ferrata lo percosse di tal guisa, che lofe’ restare senza motto per alcun tempo. Gli furono quindiscaricate due bocche di archibuso al petto ed altri Uscoc-
chi, senza posa, lo ferirono per ogni dove. Egli alla finecadde per sempre. I ribaldi raccolsero i cadaveri dei duemartiri e li precipitarono in mare. Quello di Lucrezio fusalvato per caso fortuito da alcuni marinari presso l’isoladi Veglia, e riconosciuto dal veneto provveditore, fu se-pellito con uffici solenni da que’ pietosi abitanti, superbidi possedere la salma di un confratello, che rivelò indolesì energica e forza d’animo più singolare che rara.
Ed oggi gl’Istriani che visitano Veglia, penseranno
con religione di patria a Lucrezio Gravisi, a questo fortis-simo, le cui ossa riposano tranquille sotto suolo italiano!Uguale sorte non ebbero i suoi congiunti e compagni dimartirio, ma essi pur disarmati e traditi, colla loro fer-mezza mostrarono al mondo quanto fossero degni delgran nome di Venezia.
Nè qui si arrestò la ferocia degli Uscocchi; che’
neppure risparmiarono il sopracomito. Condottolo a terragli recisero il capo; nè sazi di tante sceleratezze, squar-ciatogli il petto e strappatogli il cuore, se lo mangiaronoe poi bevettero il suo sangue. Indi quelle belve allegra-mente gozzovigliando, tutto il giorno si tennero in capoalla tavola il miserissimo teschio, tra gli orribili scherni ele oscene facezie degli avvinazzati commensali.»
Il fatto sollevava grandissima impressione e vivo
cordoglio, oltre che a Capodistria, anche a Venezia.
Il citato codice, conservato nell’archivio di famiglia
e intitolato “Tragico avvenimento a Ill.mo Lucrezio GravisiCavaliere, ed alli Sig.ri Fran.co suo Fratello, Gravise suoNipote, e Vanto suo Cugino tutti Gravisi, Descritto dal-l’Eccell. Sigr. D.r Ottonello de Belli da Capod.a”, riporta:
“La Serenissima Repubblica di Venezia, grata rico-
noscitrice dei meriti di chi la serve, non solo in vita ma
ancora in morte, dimostrò segno degno della sua gran-dezza negl’Eredi del qm. Sigr. Kv.re (cavaliere), poichèessendo comparsi a Venezia il Sigr. Nicolò suo Fratellocon la moglie, Padre e Madre del Sigr. Gravise con seiFigliole e un Figliolo, e con questi ancora la moglie delK.re fecero compassionevole e lagrimevol spettacolo unamattina nel Eccell.mo pieno Collegio, dove di lutto com-parsi tutti, dopo letta una umile supplicazione che rimes-si gli fossero molte centinara di Ducati, dei quali antici-patamente da Sua Ser.tà fu servito il Sigr. K.re per esporsial viaggio, che le compagnie fatte corressero a pro’ loro ebenefizio, e che fosse ristorato in parte il danno di quelleFiglie e del Figlio per la perdita del Fratello e delli due Zij,continuò con la viva voce la Sig.ra Elisabetta, moglie delSigr. Nicolò a raccontare il danno grave di quella poveraCasa patito per la morte crudele delli Cugnati e delFigliolo, in cui era riposto il fondamento d’ogni lorosperanza humana. E con tanto affetto esplicò parole tali,che fra quell’Ill.mi Senatori memori ancora di aver pochigiorni prima veduto il Sigr. K.re ed il Sigr. Nipote contanta prontezza in Venezia esposti per il pubblico Servizioal viaggio di quel Regno, e per lettere e processo formatosopra di ciò certificati dell’intrepidezza del Sigr. K.re involer combattere, non vi fù alcuno che tenesse gl’occhiasciutti; onde in tutti li capi furono benignamente esau-diti, rimessi li debiti, concesso il beneficio delle Compa-gnie, assegnati duecento ducati a cadauna delle Figliolee trecento all’anno in vita al Figliolo nominato Pietro, chenon eccede a questi tempi l’età di anni nove, al qualeconceda Iddio vita di potersi dimostrare non meno gratoa Sua Serenità per tanta gratitudine, ma ancora nondegenerare da suoi maggiori come per indole lo dimostrain questa prima adolescenza.”
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